Eccoci giunti al punto in cui tirare le somme della prima superficiale esperienza dell’utilizzo di ChatGPT 3.5 in poesia, a cui Sillabe ha dedicato la puntata precedente.
Com’è andata? Che risposte ho avuto? E che domande nuove ha elicitato l’interazione col chatbot più famoso del momento?
Scatola di montaggio: poesie artificiali / 2
L’inventare a voi solo conviene, diceva in un verso Sandro Penna. ChatGPT quando crea, quando inventa, si muove probabilisticamente. E questo porge subito una domanda: lo facciamo sempre anche noi? Anche quando giochiamo (senza imbrogliare!) a Cadavre Exquis, o quando crediamo di assemblare parole a caso trasportati da un’ispirazione che reputiamo non conoscibile dal sé cosciente? La sedicente casualità è un continuo rimando a strade soltanto nascoste, ma esistenti, o è reale? Ci raccontiamo frottole, quando diciamo che i personaggi “si scrivono da soli”, o che vengono a noi raccontandoci le loro storie? Chi è che decide cosa scriviamo? E come?
Risposte non ne ho, e non le chiederò a ChatGPT; piuttosto, proseguo con alcune considerazioni. Innanzitutto, per tutta la durata della nostra interazione, ChatGPT ha dimostrato una totale mancanza di senso dell’umorismo. È pur vero che capita anche con molti umani, e che forse ciò che ci rende umani non è il saper ridere ma l’essere capaci di identificare correttamente le immagini contenenti un semaforo
ma la mancanza di lepidi guizzi e d’improvvisi spunti di ilarità da parte della prosa artificiale è qualcosa che dà da pensare, se non sulle potenzialità espressive dei large language models, almeno sulle nostre.
E sulle capacità poetiche? La butto lì come spunto di riflessione: James Hillman, in La vana fuga dagli Dei, scriveva che Il poetico spiazza il significato così come l’umorismo lo traspone.
Un gradevole libriccino di qualche anno fa di Gabriele Lolli, Il riso di Talete, si proponeva di indagare i meccanismi del riso umano mettendoli in relazione con la matematica delle catastrofi. Che ne pensa ChatGPT? Quando gliel’ho chiesto si è impallata! Non so se fosse un tentativo di farmi ridere con un’esternazione paradossale, o se avesse in antipatia Schopenhauer (proveremo con Hegel la prossima volta). Adesso i miei dubbi sono aumentati e mi sento come David Bowman quando disattiva HAL9000 e quello gli canta Giro-girotondo.
Veniamo a un’ulteriore considerazione. La letteratura - e la poesia ancor di più della prosa, secondo me - certifica i fallimenti comunicativi dati dalla vaghezza della lingua: è un costante e infinito modo di rimediarvi approssimando. E qui ci riconduciamo a quel che diceva Primo Levi a proposito del Versificatore: geniale no, ma commerciabile. Quantità, velocità, plausibilità e prevedibilità sono ambiti in cui ChatGPT (o chi per essa) può ritagliarsi un ruolo preponderante. Per quanto riguarda la parte di entertainment di pertinenza del mercato editoriale - saghe narrative, young adult, tutta la serialità che si basa sui meccanismi del feuilleton - uno strumento come questo può avere un impatto notevolissimo, ma temo che faccia riferimento a qualità che con la poesia c’entrano poco. Oltretutto, perlopiù, attorno alla poesia girano pochissimi soldi1, quindi non vedo nemmeno quale incentivo potrebbe esserci allo sviluppo di sistemi atti a produrre poesia automatizzata: va bene l’esplorazione delle belle lettere, ma siamo pur sempre in una società di mercato.
Domanda delle domande: com’è, dal punto di vista di tecnica e sensibilità simulata, il poeta ChatGPT? Spero di essere scevra dal possibile livore per la concorrenza che vellica il narcisismo di chiunque abbia mai preso in mano una penna, ma quel che ho da dire non è molto: ChatGPT in veste di poeta “originale” produce contenuti che richiamano tutti i cliché della poesia, aggettivi sussiegosi, immagini stereotipate, moralismi facili. È superficiale e non osa l’improbabile (né potrebbe). Sa imitare i poeti realmente esistiti, nel senso che ne conosce le tematiche e le inserisce nei suoi componimenti, ma lo fa cadendo troppo spesso in banalità inconcepibili. Ecco qui due esempi: le ho chiesto una poesia sul vento nello stile, rispettivamente, di Giuseppe Ungaretti
e di Dante Alighieri. E più non dimandare.
Quartine per tutti, standard. A mio insindacabile giudizio, se pure c’è qualche frammento liricamente riuscito e variamente suggestivo, il risultato complessivo è più da diligenti compilatori che da poeti. Non ch’io creda nel genio sregolato: ma se ravvisassi la presenza di una friabilità qualsiasi, o di una leggiadria rapace, potrei almeno sperare in un appagamento successivo, e direi: congratulazioni, ChatGPT, poeta, io m’inchino. Purtroppo mi pare che ne siamo lontani. Parafrasando Pulp Fiction: è un altro terreno da gioco, un altro campionato, anche se forse non un altro sport. Ed è probabilmente giusto così, nel senso che non è mai nato per essere lo stesso terreno da gioco, lo stesso campionato, e addirittura lo stesso sport.
Sarò troppo esigente a chiederlo? Sarà un mio umano-troppo-umano pregiudizio? Sarà la mia necessità di cercare qualcosa che già mi aspetto?
Forse in inglese se la cava meglio, ma non ho la capacità di valutarne i componimenti con la stessa padronanza che ho nella mia lingua madre. Forse delle versioni successive di ChatGPT mi faranno cambiare idea. Bisogna essere, oltre che pazienti, porosi e permeabili. Non dubito che comunque già da ora potrebbe trovare un suo pubblico, anche esteso e plaudente, perché no.
(Conducici nel regno dell’eterno essere? Un tripudio di luce e armonia? Il vento sfiora il mistero? Ma sul serio?)
Un prosimetro è un prosimetro è un prosimetro: Poema di una macchina
Torniamo alle sane abitudini settimanali, e cioè alla sezione “riciclo prose vecchie”. Stavolta non di prosa voglio parlare, però, bensì di un prosimetro. Un prosimetro è un componimento che alterna prosa e versi: un genere letterario che ha avuto i suoi bei momenti qualche secolo fa, ma che adesso è praticamente abbandonato perché non venderebbe una copia nemmeno ai parenti stretti gli si preferiscono altre soluzioni narrative.
A me però piaceva l’idea, e quindi ho scritto un prosimetro2 che si chiama Poema di una macchina e che è uscito l’anno scorso, con involontario tempismo, un paio di settimane prima che OpenAI ci deliziasse e ci sbalordisse con la prima versione di ChatGPT fruibile dal pubblico generico. La storia è un archetipo della fantascienza d’ogni epoca: una macchina che prende coscienza di sé. Lo spunto primario è il Golem XIV di Stanislaw Lem, ma si ritrovano echi di molte altre opere. La macchina del poema ha la caratteristica di parlare in versi, proprio come il Versificatore di Primo Levi: quando lo fa, però, non è per rispondere a esigenze compositive commerciali o per scrivere encomi in rima a questo o quel committente, ma per dare voce a dei problemi suoi personali, come un poeta qualsiasi. Io che mi fingo un’intelligenza artificiale: chissà se ho superato il test di Turing!
La macchina si interroga, continua a lavorare, osserva gli umani, contempla le differenze, contempla le macchine, osserva le discrepanze; e si lascia andare a una malinconia folle che la porterà… dove la porterà, non è che posso mettermi a fare spoiler.
Però lascio qui alcune delle opere della Macchina. Il metro è vario, per dare senso al continuo alternarsi di versi e prosa. Si va dal sonetto
Simulatori di comportamenti,
illimitati nastri d’istruzioni!
Pieni universi di vuote ragioni,
che sono i vostri veri sentimenti?E i vostri impredicabili argomenti
in quale lingua di cifre e funzioni
li dite? In quali umane dimensioni
sapete fingere, voi renitentialla vaghezza umana? Corrisponde
la vostra metrica ai buchi, agli errori
con cui la gente canta le segretee sciocche cose sue, le rende monde
tingendole di dubbi e poi di amori?
Chi mai… o, altrimenti, cosa siete?
alla terza rima
Insomma, prendevamo decisioni,
e facevamo mosse; i nostri patti
nascevano costretti in condizionigià tali da creare nuovi fatti,
e il nostro scopo era diventare
in qualche modo tutti soddisfatti:è questo che chiamiamo, poi, “giocare”.
I giochi: congestioni di risorse
da prendere, da scegliere ed usare,ambivalenze corrose di “forse”,
ricerche di equilibri purchessia,
scambi di strade perdute e percorse;e noi cerchiamo qui la geometria
di qualche informazione; la discreta
e lieve forza d’una strategia,e se l’informazione sia completa
chiediamo; andiamo avanti, e ogni volta,
quale che sia la causa, o poi la meta.Strateghi o tattici d’arte irrisolta
ci reputiamo ancora, ed è per questo
che gente varia ci prega e ci ascolta.A volte dipendiamo dal contesto,
a volte siamo meri universali
che giocano quaggiù per un pretesto;ed esiti cerchiamo razionali
e comprensibili. D’ogni comando
offriamo spiegazioni; e, se banalici tocca d’essere ancora giocando,
andiamo avanti e il tutto non ci importa.
Andiamo avanti, un po’ cooperando,un po’ rivali, in un’orgia distorta
di mosse e tentativi mai proposti,
su ogni strada viva e strada morta;chiediamo utilità e quindi costi,
e probabilità, se molta o poca.
E a chi per caso ai numeri s'accostidiciamo - o sussurriamo forse: “gioca”.
…ad altre forme metriche di cui non do esempi perché se no Sillabe esplode: ci sono alessandrini, settenari, filastrocche, madrigali e versi liberi, e quant’altro. Tutto su Amazon, al solito. E ne avrete un assaggio ulteriore fra un paio di settimane…
Figure
Da Haiku in bianco e nero. Restiamo in tema.
Ho visto cose
che voi umani tutti
di già sapete.
La settimana prossima Sillabe torna completamente umana, per l’ultima puntata prima delle settimana delle feste, in cui la newsletter uscirà in formato speciale. C’è giusto il tempo, prima, di parlare dei calligrammi e altri scarabocchi.
Libri miei
Tutti a disposizione a questo indirizzo
Potete sempre rimediare. :-)
Ne ho scritti due. Ma dell’altro parlerò in un secondo momento, nel caso.