Introduzione
Questa settimana si parla della struttura metrica dell’ode, che verrà analizzata in Scatola di montaggio. Il filo conduttore dell’intera puntata sono gli insetti, protagonisti anche di Una prosa è una prosa è una prosa e di Figure.
Sillabe pubblica contenuti nuovi ogni venerdì, salvo eventi di forza maggiore.
Scatola di montaggio: l’ode
L’ode è un componimento antico: ne troviamo esempi già nella letteratura greca e in quella latina. Nella lingua italiana riappare grossomodo dal Cinquecento, come alternativa alla ballata, e dal Settecento in poi trova spazio ancor maggiore, basti pensare alle odi di Foscolo a Luigia Pallavicini caduta da cavallo o all’amica risanata, o alle Odi barbare con cui Carducci cerca di riadattare la metrica classica, che si basa sulla lunghezza delle sillabe, a quella moderna che invece si basa sugli accenti.
L’ode si divide in un certo numero di stanze relativamente brevi, formate cioè da quattro a sei-sette versi, i quali di solito sono endecasillabi o settenari o un alternarsi di questi ritmi, senza regole fisse. Anche l’impostazione delle rime è a discrezione dell’autore: però la loro disposizione all’interno della prima stanza deve riflettersi in quella delle stanze successive.
Gli argomenti trattati in un’ode possono essere i più vari; si va dall’amore all’elogio all’incoraggiamento. Per l’esempio che propongo qui, però, ho scelto qualcosa di completamente diverso, ossia le falene.
Inserisco lepidotteri nei miei lavori letterari, è il mio momento Nabokov!
Sì, è estate, fa caldo, e la notte è trapunta di questi insetti che spruzzano le loro orbite attorno a una pur vaga fonte di luce. La mente ritorna a Le onde di Virginia Woolf, romanzo che in origine avrebbe dovuto chiamarsi Le falene, per sottolineare il paragone con gli esseri umani che si agitano attratti da una luce fino a finirne bruciati. La mente ritorna anche a quello che è probabilmente, se si eccettua la lettera di addio al marito, l’ultimo testo scritto dalla stessa Woolf prima del suicidio, e cioè il racconto La morte della falena, in cui l’autrice osserva l’ultimo scorcio di vita dell’insetto: La sua impotenza mi scosse. D’un tratto compresi che era in difficoltà; che non era più in grado di risollevarsi; che le sue zampette lottavano invano. Ma mentre allungavo una matita con l’intenzione di aiutarlo a raddrizzarsi, mi resi conto che fallimenti e goffaggine segnavano l’approssimarsi della morte. Posai la matita. [trad. Anna Nadotti per Einaudi. Potete leggere il racconto qui]
Ma le falene mi servivano perché mi interessava far vedere che una determinata struttura metrica può reggere il peso di qualsiasi argomento venga trattato, perfino di uno così distante da quelli di cui un’ode solitamente si occupa.
Alle falene si compone di otto stanze ciascuna delle quali conta sei versi, settenari ed endecasillabi: lo schema delle rime di ogni stanza è abAcDd (in minuscolo i settenari, in maiuscolo gli endecasillabi)
Alle falene
Vedo le ali rotte
su reti di metallo,
che parlano le lingue della notte
piene d’umidità;
e morte strana e svelta le traduce
sui bordi della luce.
Le stelle sono sciame
che mostra a noi per terra
un’apparenza antica di un legame:
disegni di figure,
divinità, sospetti, amori e mostri,
e sogni solo nostri.
Ma voi, falene, andate
ben sotto quei discorsi
ignoti dentro il senso dell’estate
rivendicato altrove,
volando come foste buchi bui
dentro le luci altrui;
le stelle non vi badano,
son luci dette altrove,
lontane, che non cadono
al suolo qui da noi,
che parlano di forme di universo
che forse abbiamo perso.
Restate qui, inumane,
insieme a condividere
le notti nostre antichissime e vane,
suonando con le ali
un tempo che per noi non dice nulla,
e che però ci culla.
Che suono avete mai?
Che musica vi veste,
che note accondiscendono al viavai
notturno che vi spiega,
mentre la morte si disputa un lembo
del vostro volo sghembo?
Voi siete lunghe onde
di suoni ammutoliti,
domanda cui nessuno più risponde,
e civiltà straniere
adatte a quella sorte indefinita
che noi chiamiamo vita.
La notte cade, intorno,
e non vi vedo più,
nascoste dove non vi coglie il giorno;
domani tornerete
con ali ancora ingenue o certo scaltre
e già sarete altre.
Una prosa è una prosa è una prosa: Coleotteri
Continuiamo a ronzare attorno all’entomologia, con il racconto Coleotteri che fa parte della raccolta Sono racconti per nessuno (2021). Potete scaricarla liberamente in PDF qui.
La storia si basa su fatti reali. Nella realtà c’era mio nonno ricoverato nel reparto di pneumologia, quindici anni fa, e c’era una coccinella. Era estate e faceva molto caldo. Mio nonno sarebbe morto in settembre.
Nel racconto, invece,
Ai capezzali rimasti, oltre a Letto Quattro, non ci sono altri parenti, ancora: i malati sono soli, chi dorme, chi guarda la parete. Letto Tre si sforza di mandare messaggi al telefono, ma Letto Tre è giovane, dovrebbe essere uno di quelli che escono di qui con le loro gambe. Bisognerà pur credere in qualcosa, stando qui. La moglie di Letto Quattro tenta due movimenti delle braccia e delle gambe per sgranchirsi, lo fa con discrezione. Rumore di medici e infermieri nel corridoio, odori. Si concentra sui muscoli delle gambe e delle braccia. Suo marito continua a dormicchiare. Respiro lento e irregolare. La donna si guarda attorno, adesso muove il collo, con una certa dolcezza, come se qualcuno potesse guardarla. C’è una macchiolina sul lenzuolo di Letto Cinque. Si sporge in avanti per vedere meglio. È una coccinella. È talmente strano vederne una qui dentro che la fissa a lungo, e poi sorride. Una piccola coccinella rossa, con i suoi punti neri. Cammina sul lenzuolo. Letto Quattro si lamenta, forse si sta svegliando. La donna si volge verso di lui, gli sistema istintivamente il cuscino, gli mormora due parole. Lui mugugna. Si capiscono ugualmente.
Figure
Poi per quanto riguarda gli insetti letterari famosi mi resterà quasi solo da dire che un giorno Gregor Samsa si risvegliò eccetera eccetera. Haiku n.7 da Haiku in bianco e nero (2023)
Mi meritavo
insetti sopraffini,
il fiore disse.
E per questa settimana è tutto. Alla prossima! Nel frattempo, qui c’è il mio vecchio blog: Un’altra versione