La letteratura è fatta di prestiti, contaminazioni, adattamenti continui, e la metrica non fa eccezione. La puntata di questa settimana parla di un metro francese trapiantato in Italia con alterne fortune: l’alessandrino. Anche l’endecasillabo, in effetti, discende direttamente dal décasyllabe provenzale, con un minimo adattamento dovuto al fatto che in italiano sovrabbondano le parole piane a discapito di quelle tronche, il che ha di fatto aggiunto l’undicesima sillaba, pur se entrambi hanno l’accento obbligato sulla decima. L’endecasillabo italiano, però, è diventato il verso portante di tutta la nostra poesia: altrettanto non si può dire dell’alessandrino, che è rimasto un verso minoritario anche se tutt’altro che di nicchia.
Scatola di montaggio: l’alessandrino (o il martelliano)
L’alessandrino è un metro francese, il verso principale della poesia francese anzi: consta di dodici sillabe ed è solitamente diviso in due emistichi di sei sillabe ciascuna, con accento sulla sesta e sulla dodicesima. È un verso antico: il poema da cui prende il nome, il Roman d’Alexandre, è stato composto nella seconda metà del XII secolo da Lambert de Tort, che scrisse in dodecasillabi le vicende di Alessandro Magno. Il libro ebbe un vasto successo: fornì da esempio per molte altre opere dedicate a principi successivi e fu tradotto in tutta Europa e non solo (si contano traduzioni anche in armeno o in malese, per dire). All’epoca il verso era un dodecasillabo indiviso: la suddivisione in emistichi è parecchio successiva, essendo stata sancita nel Seicento da Nicolas Boileau, uomo di lettere, amico di Molière, poeta egli stesso e autore di un’Art Poétique. Creati gli emistichi, ecco che di lì a qualche tempo vengono sbeffeggiati, in quanto troppo classicheggianti: a Hugo non garbano e in generale il romanticismo non li apprezza, tant’è che s’inventa la doppia cesura e il cosiddetto trimetro romantico. L’alessandrino, però, continua imperterrito a fare da riferimento fino a quando non si sfalda nel verso libero.
Ma intanto ha avuto modo di oltrepassare le Alpi e di arrivare in Italia, alla fine del Seicento, introdotto da Pier Jacopo Martello: sicché l’alessandrino in Italia si chiama anche martelliano, in onore. Il verso piace a Goldoni, che ne usa e ne abusa; piacerà anche a Carducci, perché se ci sono versi da sperimentare Carducci non dice mai di no, e pure Gozzano dirà la sua, e Montale più avanti. Il metro, però, è più che altro legato alle commedie del Settecento. Trasposto in italiano viene reso con un doppio settenario, in modo da mantenere la struttura dei due emistichi con l’accento obbligato sulla sesta sillaba di ciascuno.
Visto che si tratta di omaggiare la letteratura in francese, la Scatola di montaggio propone per questa settimana una versione in alessandrini (o martelliani) delle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar.
In rima baciata.
Ed è pure un tautogramma in “A”.
Ed è anche stato il motivo per cui ho imparato che “agripnìa” vuol dire “insonnia ostinata” (Il correttore automatico non lo sa, e insiste nel propormi “Agrippina”. Chissà come si dorme, a essere la mamma di Nerone.)
(Fa parte anche lui di Canone Accidentale, se volete!)
Apocrifo antenato: | “Aurelio, amico, ascolta.
All'atto ancor anìmula | all'aspro autore avvolta,
apprezzo arrovellarmi, | ansante ambisco avere
accolite attenzioni: | allocuzioni austere
ascolta adesso, accòstati. | All'avo ansioso arriva
amaro, antico auspicio; | altr’avventure ambiva!
Affetti avevo achei: | anziché all'agre armi
accanto ad Aristotele | amavo assicurarmi,
accanto ad Aristarco | accostumato andavo,
astronomo accorrevo, | accorto almanaccavo.
Armato ampliavo ambienti | agli Angli attribuiti,
adulto arrivo all'apice; | Arsàcidi ammansiti.
Amato, amante Antinoo! | Augello adolescente,
all'ampio ardore adatto, | aspetto avevi aulente!
Amore, ansia asperrima,| arrocco appassionato,
ascosa apparizione: | appartenuto, andato!
Alcova assassinata! | Augusta austerità
appronta all'avvenire: | annulla avversità!
Anelo accomiatarmi; | avanzo, appassendo.
All'acida agonia | assimilato, attendo.
Adesso avverto angoscia, | assetto affievolito,
astiosa agripnìa, | avulso appetito.
Afflitto avvilisco, | amato, amante anziano,
all'Ade approssimato: | amarcord. Adriano.”
Sempre parlando di letteratura, qui l’alessandrino (o il martelliano) è usato per riscrivere l’incipit di Moby Dick (anche questo è un mio vecchio pezzo, apparso sul blog nel 2015)
Così cominceremo: | Chiamatemi Ismaele.
Questa è la storia antica | di me che in tal passato
non ebbi fra le tasche | più che un soldo bucato
e, privo d’interessi, | volsi a spiegar le vele.
È il mondo fatto d’acqua | la giusta soluzione
se il cuor va taciturno | e s’immalinconisce;
pei mari il navigare, | non sia chi si stupisce,
acquieta di rimando | la mia circolazione.
Se mai mi vien sospetto | d’avere messo il muso;
se mai mi va nel petto | lo scorno dell’intriso
novembre in tante piogge; | se pur ristagna il viso
dinanzi al vespillone | dei morti a seguir l’uso;
e in special modo quando | un nero umor m’invade
tanto che mi trattiene | solo la mia morale
dal battagliar col mondo | e invero far del male
a quanti più cappelli | incontro per le strade;
d’andar per mare quindi | sento che l’ora è questa.
Lo pongo a sostituto, | l’andar per mare, dico,
della pistola al petto, | del colpo a me nemico;
chi dee partire, parta | pazienza per chi resta.
Si lambiccò Catone | di gran filosofia;
alfine sulla spada | gettò il suo cuor risolto.
Io cheto pur rimango, | altrove mi rivolto,
m’imbarco e non v’è nulla | che straordinario sia.
Se sol sapesse l’uomo | di questo usato vezzo
chiunque a proprio modo | chi presto e pur chi poi
farebbe invero quello | che andiamo a fare noi:
nei sentimenti il mare | per tutti ha un solo prezzo.
Una prosa è una prosa è una prosa: Manuale di conversazione
Seduta a mangiare qualcosa sulla panchina di un parco pubblico, Irene incontra un suo vecchio partner, Paolo, informatore del farmaco, e fioccano i ricordi.
Non che non avessi mai fatto sesso in vita mia: ma i ricordi si perdevano in massima parte nei meandri della tarda adolescenza, e a volerla dire tutta non ci avevo capito un granché, del sesso praticato, al di là delle più comuni osservazioni meccaniche e idrauliche. Mi avevano presentato Paolo a una cena e nonostante avessi parlato per cinque minuti della passione per la quale stavo transitando in quelle settimane, cioè il romanzo americano nel primo Novecento, non si era spaventato e ci eravamo visti ancora. La storia era decollata subito e si era messa in un buon assetto, il che significa che eravamo stati a letto insieme e ci era piaciuto e avevamo pensato che sarebbe stata un’ottima idea farlo il più spesso possibile. Sulle prime mi trovai spiazzata perché non sapevo a quale paradigma letterario riferirmi; poi compresi che la mia duchessa di Langeais doveva cedere il posto a Ovidio, e le cose andarono a posto. […]
Con il nostro strano rituale avevamo cominciato per caso, una delle prime volte, in cui avevo ancora il pudore della necessità di chiedere a Paolo qualcosa della sua vita, in modo che non sembrasse che ero venuta lì solo per fare del sesso grandioso. Siccome nessuno dei due fumava il ruolo della sigaretta post coitale era stato rilevato dalla lettura dei bugiardini. C’era una scatoletta di medicinali sul comodino. Il nome mi era sconosciuto. Non faceva parte delle medicine che avevo preso in vita mia.
“Che cos’è?” avevo chiesto. “Un gastroprotettore.” “Hai l’ulcera?”
“No, no.”
“Ah, è per il lavoro. Ti porti il lavoro a letto? Studi la notte per fare bella figura?”
L’ipotesi lo aveva divertito. “No, è che in settimana mi si è riacutizzato un vecchio dolore al ginocchio e ho preso degli antidolorifici. E siccome ho lo stomaco delicato e ho sofferto di reflusso, ci ho aggiunto il gastroprotettore.”“Il tuo stomaco è delicato ma il tuo torace è sensuale” avevo detto io. O qualcosa del genere. Non sapevo se avrebbe funzionato: temo di non essere un granché, quanto a inventiva retorica tra le lenzuola. “Che ti eri fatto al ginocchio?”
“Ma niente, anni fa mi son fatto male sciando.”
Non lo ascoltavo più e mi ero messa a giocherellare con la scatola. L’avevo aperta e ne avevo estratto il foglietto illustrativo. Il punto è che ho questa compulsione, io leggo tutto, leggo qualsiasi cosa ci sia da leggere.
Recitai con aria ispirata qualche riga a caso. “È una base debole ed è concentrato e convertito nella forma attiva nell'ambiente fortemente acido dei canalicoli intracellulari all’interno delle cellule parietali, dove inibisce l’enzima H+/K+ -ATPasi. Quest’azione sull'ultima tappa del processo di formazione dell'acido gastrico è dose-dipendente, e...”
“Hai un modo terribilmente erotico di dirlo.”
Adesso era il mio turno di trovare la cosa divertente. “Stai scherzando?”
“Ma no, sono serio.” Si era puntellato su un braccio e mi aveva attirato a sé. “Nessuno mi ha mai parlato così degli inibitori della pompa protonica.”
Non ci eravamo detti altro e ne era uscito un altro amplesso estasiante, improvviso, che nessuno dei due si aspettava poiché ci eravamo appena ampiamente soddisfatti, ma nulla poteva reggere il confronto con quella replica inattesa. Da allora era diventato un appuntamento fisso, prima del rapporto. Nel volgere di poche settimane avevamo addirittura una sorta di casellario erotico-farmaceutico e ad ogni variante del coito avevamo associato una categoria farmacologica. Ci suonavano bene insieme: i miorilassanti per le sveltine, i sulfamidici per il missionario, gli anticoagulanti per lo smorzacandela. E poi gli antidepressivi more ferarum, i sedativi per la tosse, gli antivirali, gli antistaminici, i corticosteroidi; se fossimo andati in bianco - non avvenne che una volta - avevamo gli omeopatici. Anche quando la storia finì mi capitò di leggere per caso i foglietti illustrativi di qualche medicinale e trovarmi irretita, sentivo nella testa la voce di Paolo che ansava: “Il farmaco penetra nei fluidi sinoviali, dove si misurano i massimi di concentrazione 2-4 ore dopo la comparsa del picco plasmatico... e adesso vieni qui, bella porca, Ciccia mia.”
E questo era un antinfiammatorio non steroideo, categoria di cui non dirò la corrispondente posizione sessuale.
Quartine al bar
Poche rime, un caffè di primavera.
Questo caffè ripaga il chiaro debito
di tredici sorrisi non usati
da quando sono uscita stamattina
per ricordare sogni assassinati.
Libri miei
Tutti a disposizione a questo indirizzo.
"una versione in alessandrini (o martelliani) delle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar.
In rima baciata.
Ed è pure un tautogramma in A "
triplo salto mortale avanti carpiato rovesciato ubriacato sparpagliato
applausi a scena aperta!!!