Questa settimana si torna per l’ultima volta a fare esperimenti di metrica barbara, lavorando su un verso che, pur nato nella poesia greca, è caratteristico di quella latina. Verso cardine dell’opera di Catullo, il tema di oggi è l’endecasillabo falecio.
Scatola di montaggio: l’endecasillabo falecio
La metrica latina è quantitativa, cioè si basa sulla lunghezza delle sillabe. L’endecasillabo falecio, in questo contesto, è un verso di undici sillabe disposte secondo la struttura seguente:
X X | — ∪ ∪ | — ∪ | — ∪ | — X
Le prime due sillabe, quindi, possono essere sia lunghe che brevi, e così l’ultima; il resto delle lunghezze invece è predeterminato. Tecnicamente, dopo le prime due sillabe, abbiamo un dattilo, due trochei e un ultimo trocheo che può essere uno spondeo.
Nella metrica italiana bisogna fare delle modifiche in corso d’opera, perché si tratta di una metrica che si basa, come sappiamo, sugli accenti e non sulla lunghezza delle sillabe. Si è scelto quindi di continuare a lasciare libere le prime due sillabe e di accentare le lunghe del dattilo e dei trochei.
A differenza di un endecasillabo italiano, la cui lunghezza può variare a seconda che l’accento vincolante sulla decima sillaba appartenga a una parola tronca, piana o sdrucciola, l’endecasillabo falecio latino ha tassativamente undici sillabe: e così sarà anche nell’esercizio di oggi.
Vediamo dunque una composizione che utilizza il falecio “all’italiana” e che, nel tema, tratta di incertezze affettive e timori relazionali.
Vedi, sorgono soli lenti, nuovi;
rotti gemiti duri, gravi notti.
E nel pavido cuore tutto grida,
tutto sibila, dorme, s’alza presto,
quindi gravita sotto mani nostre
che mai posero veti. Siamo noi,
ora, creduli, quieti, senza morte,
né la minima vita. Chiedo: chi sei?
E tu dimmelo, ora, oggi, forse
in un seguito vano muto; parla,
parla, chiedimi oggi, ora, cose
di cui stupide note chiare, quindi,
sempre cantano. Sono storie mie,
tue, rapide, senza fondo. Belle.
Sogni tiepidi, larghi, nostri, veri,
bagni languidi dentro mari calmi.
Da quei placidi mari siamo nati,
dentro critiche onde siamo stati,
e non chiedermi altro. Io non voglio
che la semplice vita, cara, vecchia.
E non stipulo patti nuovi, strani; credo.
Vedi, sorgono soli lenti, sciocchi,
senza orbita. Siamo questi, ora?
Dimmi, dimmelo, cosa devo dire,
fare, essere, dimmi, dimmi, ora,
sono l’anima morta, chiara, nostra.
Storia, limite, segno, notte, tempo,
spazio stabile: questo sono; siamo.
Una prosa è una prosa è una prosa: Manuale di conversazione
Penultimo appuntamento con la vita e le faccende di Irene Cardin e del suo Manuale di conversazione, che al solito potete trovare su Amazon in cartaceo e in ebook per Kindle. E qui abbiamo un romanzo che parla di un altro romanzo, e di un personaggio fittizio che parla di un altro personaggio fittizio che parla di altri personaggi fittizi, e insomma, è un po’ un omaggio a certa narrativa novecentesca, un debito da pagare.
Per i primi tempi non si seppe nemmeno se era un uomo o una donna. Quando apparve il suo primo romanzo, sul finire degli anni ’70, si firmava soltanto Altaviva, e nessuno capiva se fosse un cognome, uno pseudonimo, un nome collettivo o chissà che altro.
Il primo romanzo, Agata, non ebbe un grande successo di vendite, e durante tutta la carriera Altaviva non ha raggiunto mai la vera e propria fama. Era un nome sussurrato nei circoli di quelli che la sapevano lunga, tra i grandi lettori; nonostante non avesse che modeste ascendenze accademiche, il suo nome veniva scandito con rispetto nelle redazioni di riviste culturali altrimenti severamente elitarie. Poteva altresì vantare un gruppuscolo di seguaci, equamente divisi tra gli adoratori acritici e i malmostosi esegeti, che avrebbero comprato qualsiasi cosa che fosse stata scritta di suo pugno. Le generalità di Altaviva divennero note all’improvviso nel 1994 quando ne ritrovarono il corpo ormai prossimo ai sessant’anni riverso nella vasca e quasi del tutto schiantato da un cedimento improvviso. Vi fu in quel frangente una serie di coincidenze favorevoli pazzesche come possono concorrere soltanto nelle storie mal sceneggiate, per sommo disprezzo dell’arte sublime di chi ora rantolava nella propria stanza da bagno e che sulla sceneggiatura aveva costruito l’intero credito della sua esistenza: la donna delle pulizie, che aveva le chiavi di casa, arrivò in anticipo, si avvide della tragedia imminente e chiamò un’ambulanza, il corpo di Altaviva era con ogni evidenza ben più forte di quanto si potesse pensare a un’occhiata superficiale e insomma, fatta la tara degli eventi improbabili, si salvò con pochi giorni d’ospedale. Morì soltanto il suo anonimato. Dopo l’evento infatti non ritenne più necessario rinunciare al proprio nome e cognome, e si premurò di divulgarli di persona. Per un paio di settimane i giornali se ne occuparono con morbosa dedizione e tirarono fuori vita, mancata morte e pretesi miracoli, letterari e non, e ovviamente oltre al nome e cognome e numero di matricola fu pubblicata qualche foto. Interviste non ne volle rilasciare e, ottenute le dimissioni, tornò a condurre un’esistenza particolarmente ritirata. Nessuno seppe i motivi della scelta di mostrarsi finalmente al mondo per chi era. Altaviva, parlandone di sponda in un racconto successivo, sembrò addurre la scusa che il malore subìto nella vasca da bagno aveva dato la stura a una lunga serie di riflessioni sulla precarietà dell’esistenza e sul senso dell’identità; forse aveva provato vergogna di non aver mai detto in pubblico come si chiamava, e temeva che il nome d’arte venisse interpretato come una vigliaccheria o una vanità ormai senile che non aveva più senso tenersi addosso. La commistione di vita reale e letteratura fu tale da non poter capire bene il senso della storia.
Quartine al bar
Rimaniamo in tema di incertezze affettive e timori relazionali.
Cerco sostegno nei pezzi di ghiaccio
e bevo sotto il cappello di paglia.
L’idea del vuoto rinasce e mi abbaglia.
Ti penso, manchi già, respiro, taccio.
La settimana prossima, con l’arrivo dell’estate e con la puntata n.50, Sillabe conclude il suo primo anno di vita, e il suo percorso in questa veste. Ci sarà poi da riordinare carte e idee. Ma l’esperienza della newsletter mi piace e continuerà, perché ho un sacco di materiale già pronto per il futuro6 e perché mi trovo molto più a mio agio su questa piattaforma rispetto ai social network, che sono compressi e deformati da algoritmi avvilenti e non permettono l’articolarsi di un discorso che non sia polarizzante e di breve respiro. Intanto, arrivederci a venerdì 21!
Libri miei
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