Nel 1842 il matematico e cartografo islandese Björn Gunnlaugsson (1788-1876) dette alle stampe un lungo poema didascalico chiamato Njóla1 ("Notte"). L’opera cominciava raccontando della visione notturna del cielo e proseguiva spiegando le distanze astronomiche, l'origine dell'universo, la gravitazione e le leggi di Newton.
Dell’autore poco si sa: nato in un oscuro paese del nord rurale dell’isola, era figlio di un fattore povero ma pieno d’ingegno. Al giovane Björn, invece, il senso pratico mancava quasi del tutto. Sembra quasi un cliché: il ragazzo di scarsi mezzi materiali ma intelligente che viene fatto studiare a costo di grandi sacrifici, mandato quindi a Reykjavik, dove frequenta scienziati danesi di peso (tra cui il fisico Hans Christian Ørsted), e che si dedica infine, dopo qualche altra inevitabile peripezia, a un mestiere che in Islanda all’epoca era appannaggio di pochissimi.
Dei suoi contributi scientifici si sa ancor meno: ma il nostro islandese merita una menzione in una newsletter dedicata alla metrica italiana perché è stato uno degli ultimi esponenti di un genere poetico antico e che ha raggiunto vette di indiscusso valore artistico2: parliamo della poesia didascalica. Se avete voglia di leggere qualcosa di più, nell’ultimo numero di Query ci ho scritto un articolo più esteso3.
Scatola di montaggio: la poesia didascalica
Che anticamente la poesia trattasse della descrizione dei fenomeni naturali non è mistero per nessuno: Parmenide ha scritto in versi il suo Poema della natura, Virgilio nelle Georgiche ci ha insegnato come lavorare la terra e Lucrezio nel De rerum natura ha fornito un meraviglioso compendio epicureo sulla vita, l’universo e tutto quanto.
I poemi didascalici hanno avuto fortuna nel medioevo, epoca nota per i suoi bestiari e i suoi arditi miscugli di astronomia e astrologia, e nel rinascimento, quando c’è stata una vera e propria esplosione del genere, e pertanto possiamo leggere tuttora eleganti trattati poetici su come allevare i bachi da seta o su cosa cucinare per evitare di ammalarci di peste.
Sono gli anni in cui però lo studio della natura comincia a irrobustirsi da un punto di vista metodologico e di contenuti: i sostanziali progressi matematici e il ricorso a esperimenti controllati forniscono alla scienza un linguaggio nuovo, più adatto a esplorarne le potenzialità e a farla diventare quell’enorme campo del sapere che è oggi. Il ricorso alla poesia didascalica diminuisce di pari passo, ma non scompare del tutto ancora per un po’: abbiamo visto il nostro caro Björn Gunnlaugsson, ma anche Erasmus Darwin (medico e nonno di Charles) si distinse per i suoi Gli amori delle piante in cui metteva in versi la scienza di Linneo.
A proposito di Erasmus Darwin, non posso fare a meno di segnalare un recente saggio della poetessa Antonella Anedda Le piante di Darwin e i topi di Leopardi (Interlinea, 2022) in cui si parla, per l’appunto, degli interessi di un uomo di scienza con la passione per le lettere e di quelli un uomo di lettere eccelso osservatore della natura (e degli islandesi che vi dialogano, così chiudiamo il giro pure con Gunnlaugsson).
Dal Novecento in poi la poesia è quasi solo lirica, e mi si permetta di dire che è un peccato. Di scienza e matematica in versi si parla perlopiù per giocare, sfruttando talora le possibilità combinatorie, ma non ci sono più tradizioni strutturate di poesia didascalica: è certo un problema di specificità del linguaggio e di settorializzazione del sapere, ma secondo me è anche la perdita di un’opportunità di vedere il mondo. È per questo che mi sono dedicata alla poesia didascalica.
Ma torniamo alle specifiche dell’arte, giacché questa è pur sempre una Scatola di montaggio. Il metro: solitamente si usano versi abbastanza lunghi, come l’esametro o l’endecasillabo, che permettono di maneggiare in sicurezza pensieri, descrizioni e argomentazioni. Al contempo ci saranno canti lunghi e articolati Certo nulla vieta di scrivere una quartina su Jacques Monod in settenari in rima incrociata,
La vita è questa qua:
quando il destino tacque
e lei per caso nacque
e per necessità.
e, visto che non è questa la sede per trascrivere lunghi stralci di poemi, lascio qui due esempi di poesia didascalica sotto forma di sonetto. Fanno parte di una raccolta di sonetti su famose equazioni, e che è a sua volta un omaggio al libro di Ian Stewart Le diciassette equazioni che hanno cambiato il mondo. Se volete tutto il malloppo, qui c’è il pdf.
Una prosa è una prosa è una prosa: Manuale di conversazione
Andiamo avanti con Manuale di conversazione. Irene Cardin comincia a parlare dei meccanismi che tengono in piedi la città in cui vive e le relazioni che lei stessa ha con le cose e gli spazi. Sono temi che ritorneranno di prepotenza, stavolta in endecasillabi, in Forme e discorsi di oggetti e persone.
Quel che m’è rimasto è l’impulso a parlare con gli oggetti come se fossero dotati di personalità, e addirittura di personalità interessanti. Parlo con gli oggetti e, se riesco a farmi carico dell’impresa, parlo anche con le città in cui via via mi trovo a viaggiare. Non è che abbia viaggiato molto, in realtà.
Più in là con gli anni ho immaginato di fare ritorno nella mia città d’origine dopo un lungo viaggio in giro per il mondo e di arrivarci di notte con il treno. È un sogno ad occhi aperti e l’ho fatto più di una volta. Non so perché volessi tornare proprio col treno, dovrei parlarne alla dottoressa Leoni, me lo riprometto spesso e poi invece mi dimentico. Succede più o meno così: è buio pesto, solo le luci sabbiose della stazione delineano qualche forma conosciuta agli umani, il treno si ferma con un lungo cigolio e le porte si aprono. Scendo. Fa un freddo cane. Sotto le luci il fiato fuma azzurro e arancione e grigio. Scendo solo io. Guardo meglio lungo la banchina e ne ho conferma: nessuno. Dietro le mie spalle - ho una valigia che ho appoggiato a terra - il treno si riposa prima di ripartire verso est. Guardo da quella parte per vedere se per caso comincino a vedersi i prodromi dell’alba, ma non se ne scorge speranza.
Calicanto
Calicanto è una raccolta di liriche, ma vedi ben che la mia propensione a guardare la natura con piglio scientifico non riesce a camuffarsi più di tanto. Si parte con un ottonario, usato come verso dichiarativo, cantilenante. A seguire endecasillabi e settenari: gli uni per descrivere, gli altri per sancire. L’ultimo verso è un quinario, perché la sua brevità serve tanto a interrogare quanto a definire.
Le probabilità della natura
Avemmo accordi posticci
noi due un tempo, le corrispondenze
appena suggerite dagli eventi:
e allora dicevamo il tutto un obbligo
dei sensi e del destino:
che stupidi, gli eroi,
i santi, i vinti, e poi gli spettatori
di tutta questa storia naturale.
Tu vedi, a volte, dove si nasconde
remoto il caso.
Libri miei
Tutti a disposizione a questo indirizzo
E con questo ci diamo appuntamento a venerdì prossimo, in cui si parlerà di mottetti, giusto per divagare dal tema Sanremo.
Siccome i libri parlano di libri, ho scoperto l’esistenza di quest’opera in Gente indipendente di Halldór Kiljan Laxness.
E che, incidentalmente, è quello che frequento di più quando scrivo.
E poi potete sempre leggere Teoria dei canti, Poema di una macchina o Forme e discorsi di oggetti e persone. Che ve lo dico a fare :-)