Fin qui Sillabe si è occupata principalmente di forme chiuse, cioè di quelle strutture metriche (strutture, appunto) che devono soddisfare una serie di vincoli per quanto riguarda il numero di sillabe o la disposizione delle rime, o entrambe le cose.
Ma, come è noto, specialmente nell’ultimo secolo e mezzo la poesia è stata quasi sempre scritta facendo uso del verso libero.
Il verso libero può avere varie declinazioni a seconda della lingua in cui è scritto, e qui vedremo innanzitutto quello italiano, per ovvi motivi. In generale è una denominazione che comprende opere distantissime fra di loro, la cui unica sorte comune è quella di non utilizzare una forma metrica ben definita.
Qual è l’esito di un’operazione siffatta? Cosa perde la poesia, cosa ne guadagna? È una domanda che ha senso? Si può dire che, in fondo, le misure contino, o sono un retaggio di cui ci si può liberare senza venir meno alla funzione propria della poesia? E qual è questa funzione? Qui sotto svilupperò alcune delle precedenti domande, e altre le lascerò inevase: è più interessante, secondo me, che ciascuno risponda ragionandoci in proprio.
Scatola di montaggio: il verso libero
Nell’arte, o nel mestiere, che sovrintende alla stesura della parola scritta, possiamo immaginare che vi siano due polarità: la prosa da una parte, e il verso dall’altra. Se ci chiediamo di definirle, ci viene abbastanza facile: la prosa è un continuo, la poesia si interrompe. È tutto così semplice? La prosa ha un andamento narrativo, la poesia no… ehi, un momento: e l’epica? Non sono versi con andamento narrativo? E, poniamo, un libro in prosa come L’urlo e il furore di Faulkner, ha un andamento narrativo?
Le cose si complicano. Non bastasse, l’ampia zona grigia tra la fluidità della prosa e la scansione imposta dalla metrica viene continuamente riempita dal verso libero. Se la suddivisione tra poesia e prosa era tutto sommato gestibile fino alla fine del XIX secolo, che dire di quel che è venuto poi? Che cos’è la prosa lirica? La prosa si può scomporre in versi, così come la materia si compone di atomi? Non ci sono forse esempi di prosa in cui si nascondono lunghe successioni di endecasillabi? La prosa è una proprietà emergente del verso? O viceversa? O nessuna delle due opzioni è vera? E il verso libero, visto che non ha struttura metrica, è ancora poesia? Intuitivamente, siamo comunque portati a dire di sì, anche se non sappiamo darne una motivazione tecnica. Basta davvero andare a capo prima della fine del rigo? Tolta la struttura della composizione sillabica, tolta la necessità di regolare gli accenti, dove si trova il ritmo? La poesia di un solo verso è ancora poesia? (Chiedete a Ungaretti e vedete che vi dice!)
Alla fine si potrebbe dire, seguendo Beltrami1, che la versificazione libera si distingue da quella regolare non perché rifiuti le forme metriche, ma perché ne fa un uso contingente. Il verso libero, inoltre, non si libera di colpo e a casaccio: piuttosto, si distacca a poco a poco dalle forme consuete (tipicamente dall’endecasillabo) per esempio rifiutando l’accentazione canonica oppure oscillando sul numero delle sillabe, oppure alternando forme regolari a forme compromesse (la cosa è abbastanza evidente in Montale).
A questo proposito, Brodskij soleva parlare non di verso libero, quanto piuttosto di verso liberato. La stessa distinzione la fa Mengaldi. Brodskij diceva: “libero da cosa? La libertà non è una categoria autonoma. È una categoria condizionata. In fisica, la libertà è condizionata. In politica lo è dalla schiavitù. Quando si parla di verso libero, in sostanza si parla di verso liberato, liberato dai vincoli dei metri fissi. Per poterlo gestire, per poterlo padroneggiare, per scrivere bene, bisogna sapere da che cosa ci si è liberati. Bisogna conoscere bene i vincoli […] [U]n poeta, un giovane poeta o una giovane poetessa, chiunque sia, se decide di usarlo, deve ripercorrere, in scala ridotta, lo stesso processo subito da tutta la poesia scritta nella sua lingua prima di giungere al verso libero. In altre parole, deve saper scrivere con le rime e con i metri, copiosamente. Invece, se parti subito dalla soglia, come fa la maggior parte della gente, allora non stai più scrivendo in un verso libero, perché la libertà dev’essere una tua avventura personale, una tua acquisizione. Ogni acquisizione personale è personale, sincretica, eccetera, altrimenti stai solo prendendo a prestito la forma di qualcun altro, senza averla filtrata attraverso il tuo sistema, il che significa semplicemente che stai prendendo a prestito non tanto una forma quanto un’assenza di forma.2”
A questo punto potremmo scomodare un Isaiah Berlin di passaggio e farci spiegare la differenza tra libertà positiva e libertà negativa, cioè il discrimine fra l’essere liberi di e l’essere liberi da3; tra l’area in cui all’essere umano è lasciata licenza di esprimere ciò che è in grado di fare, senza interferenze altrui, e quella in cui si determinano le persone o le circostanze per cui il nostro agire è vincolato4. Ma tutto ciò ci porterebbe lontano, e siamo qui solo per esercitare la pratica del verso, non per occuparci di filosofia morale o politica! E quindi torniamo alle poesie. Come esempio di verso un po’ libero e un po’ no, proviamo a deragliare dalla struttura del sonetto. I primi due versi sono endecasillabi, uno sdrucciolo e uno piano. Poi si comincia a fare altro…
La libertà è cosa disagevole,
si perde tra le chiacchiere talvolta,
spacca le ossa del metro; non divelle
nulla che possa avere, in chi l’ascolta,
senso compiuto, ma solo l’abitudine
(l’abitudine piangente del desiderio)
d’essere il suono che non si rivolta.
E dice storie strane e belle,
e spaventose, inutili, incolpevole
com’è dei suoi propri infingimenti.
Che cosa dice? Non so, non sa nessuno;
un’eco barbara d’arte e di genti,
un senso ritmico inopportuno,
mistero in briciole, scoria nei venti.
Ci si può legittimamente dire: se, dal punto di vista metrico, Brodskij o non Brodskij, vale tutto, ci sono dei rischi nel verso libero?
Libertà vo cercando, ch'è sì cara,
come sa chi la metrica rifiuta5.
Be’, rischi ci sono dappertutto. Potremmo non avere idea di quello che stiamo facendo dal punto di vista del ritmo, e incappare in cacofonie non volute; potremmo eccedere in leziosità; potremmo lasciarci abbacinare dall’urgenza di usare tutte le parole difficili che conosciamo; potremmo farci ricattare dal contenuto della poesia, e farne un brutto comizio. Insomma, le potenzialità per far male sono dappertutto, così come accade nella scrittura delle poesie in forma metrica chiusa: ma, allo stesso modo, le potenzialità per far bene sono anch’esse ovunque.
Una prosa è una prosa è una prosa: Manuale di conversazione
Irene Cardin ricorda le prime esperienze dell’infanzia. Ricordo che Manuale di conversazione è disponibile in cartaceo e in ebook su Amazon.
Ero di dimensioni piuttosto ridotte, per l’età: magra e con una testa grande, pochi sorrisi e occhi mobili. Non ci si preoccupa mai di chi si mostra tranquillo: e io mi mostravo serafica quanto più potevo, parlavo poco, correvo poco, mi sporcavo poco, facevo vedere di capire quel che mi era richiesto. Avevo in mente l’embrione dell’idea secondo la quale la legge civile e la legge di natura si contengono reciprocamente, che la legge in generale è più un comando che un consiglio, che ogni legge ha bisogno di interpretazione e che una possibilità di tale interpretazione non mi sarebbe stata negata quando fossi stata in grado di dimostrare che il mio comportamento non arrecava danno a terzi; altresì capivo che una punizione non poteva essere un fatto privato comminato da un potere non riconosciuto pubblicamente, e che avevo la facoltà di contestare il potere sovrano. In aggiunta a ciò, cominciavo a costruirmi un sistema etico secondo il quale la prevenzione dei delitti era veicolata alla conoscenza delle arti e delle scienze (più in là con gli anni avrei a malincuore dovuto abbandonare un tale ottimismo ormai arcaico), che la cessione di libertà individuali aveva senso nei limiti della sovranità della comunità e che vivevo in un ambiente in cui, ad ogni buon conto, la società si faceva carico di escogitare, nei confronti di chi ne violava i patti, un sistema di deterrenza, contenimento e punizione adeguato al mantenimento della pace tra i suoi membri.
Questo sistema ideale resse nella sua struttura fino al mio primo incontro con tale Anna Pierobon, nipote della direttrice della scuola. Era, costei, una bambina di un anno più grande di me, e che mi sopravanzava di una buona spanna in altezza e di un numero imprecisato di chilogrammi di muscoli. Lungi dall’essersi incarnata in uno dei tratti caratteriali che il comune e patriarcale sentire pretendeva per l’essere femminile, e che comprendevano dolcezza e comprensione del prossimo, qualità che del resto difettavano anche a me, la giovane Anna aveva deciso di darvi una personale replica in modo del tutto diverso da quanto avevo fatto io con il mio coscienzioso ascetismo e la mia propensione alla vita teorica: a farla breve, picchiava con cieco e inesausto vigore qualsiasi cosa le venisse a tiro, con maggior godimento se la qualsiasi cosa era più piccola, più tranquilla, più intelligente di lei e, seppure il novero di tali quantità fosse rilevante viste le di lei dimensioni, ottusità e arroganza, il godimento maggiore sembrava arrivarle quando la qualsiasi cosa ero io.
Calicanto
Esempio di verso non del tutto libero. Settenari ed endecasillabi, con doppio ottonario finale a sparigliare le carte.
Cena
La zuppa di legumi;
e la ripartizione degli intenti,
e due cicorie passate in padella,
condivisione d’altri sentimenti,
pane di semola, quello di ieri,
apostrofarsi con termini noti
soltanto a noi adesso;
la frutta, come chiosa della sera
e l’esistenza tutta
a digerir se stessa
e i suoi fantasmi umili;
e queste mappe stellari
qua, dentro ai riti del giorno.
La prossima settimana si torna alla metrica chiusa, promesso.
Libri miei
Tutti a disposizione a questo indirizzo.
P.G. Beltrami, La metrica italiana, Il Mulino 2011
I. Brodskij, Conversazioni, Adelphi 2015
…però liberi da che cosa, chissà cos’è. Finché eravamo giovani era tutta un’altra cosa, chissà perché.
I. Berlin, Four Essays on Liberty, 1969. Qui da Liberty, Oxford University Press 2005
Storpiatura dantesca, da Purgatorio, I vv.71-72. Però ho preservato l’endecasillabo!