This is the way the world ends
This is the way the world ends
This is the way the world ends
Not with a bang but a whimper.
[T.S. Eliot, The hollow men]
Eccoci dunque arrivati alla fine di questo percorso sperimentale nella metrica italiana. La newsletter continuerà con un paio di puntate di riepilogo e poi riprenderà in veste nuova dopo l’estate: ci saranno ancora sperimentazioni in versi, ma di altro tipo.
Prima di procedere con l’esercizio poetico volevo dire un’ultima cosa su quest’esperienza. Gestire una newsletter così di nicchia, ma nel senso di nicchia della nicchia della nicchia, è un’impresa affascinante. Ti dà la libertà di esplorare spazi compositivi e idee d’ogni tipo senza curarti delle esigenze di mercato, il che è senz’altro un bene per chiunque si appassioni al tema della cosiddetta bibliodiversità. D’altro canto il macrocosmo della rete è talmente preda della frammentazione dei contenuti che il risultato, paradossale, è una sempre maggiore omologazione, una grande corsa affannosa e vana a essere pop, solo pop, nient’altro che pop, fino a naufragare (e non è nemmeno tanto dolce) nel mare largamente ignoto della coda lunga delle distribuzioni statistiche. Siamo alberi che cadono nella foresta e il loro rumore, più che non rilevante, è non rilevato; e la foresta è ormai nient’altro che un agglomerato di derivazioni midcult, in cui la proposta culturale si addensa attorno ad alcuni pervicaci salotti Verdurin che detengono il monopolio della definizione di ciò che sarà il sempre più mediocre canone intellettuale, con mezzi e contenuti che non si discostano poi molto da un mortificante e dozzinale catechismo che è quindi, a sua volta, protervo e settario a dispetto dei rumorosi proclami di inclusività. La bibliodiversità, così come la diversità in genere, ha paradossalmente anche lei i suoi canoni, e il suo conformismo, e i suoi tanti riti tribali e identitari.
A tal proposito, e visto che siamo su questa piattaforma: per chi avesse interesse nel comportamento dell’industria dei media e nei suoi risvolti sociali, la newsletter di Doug Shapiro offre sempre spunti interessanti. Io di tanto in tanto la leggo e sospiro. E mi incazzo. E sospiro.
Ma torniamo tosto a noi. Il tema con cui Sillabe si chiude è, opportunamente, l’epitaffio.
Scatola di montaggio: l’epitaffio
L’epitaffio è un componimento poetico dedicato al trapasso e alla lode del trapassato. Non ha una struttura metrica specifica: si adatta alle circostanze. Siccome la vs. affezionata è in un’età e in uno stato di forma psicofisica che renderebbero poco plausibili il decesso per cause naturali, confidando di non rimanere vittima di imprevedibili incidenti o brutalità ed essendo le cause di altra specie al momento e per fortuna ancor meno plausibili, l’epitaffio di questa settimana è dedicato al concetto stesso di conclusione di un percorso. Sarà una sorta di Spoon River1 della newsletter, una poesia che fa da epitaffio alle altre che l’hanno preceduta.
In quartine di endecasillabi in rima incrociata.
La fine della strada è un incrocio
in cui dormiva il diavolo talvolta,
e scommetteva sopra la rivolta,
trovando qualche vittima per socio.
La fine della strada è dentro un fosso
di lato, senza rane allucinate,
né lucciole smarrite nell’estate,
è un ricciolo di vento mai più mosso.
La fine della strada va all’assalto
di terre sconosciute e di teorie
su grandi e ordinate geometrie
di polvere caduta sull’asfalto.
La fine d’ogni morente teoria
non è la pratica, ma il disimpegno,
il gesto muto che crolla nel segno,
la quiete d’una vecchia fantasia.
La fine dell’incanto d’ogni fiore
non è né frutto mangiato, né seme,
ma il tempo perso a rimettere insieme
le chiacchiere di qualche sognatore;
così la morte non già della vita
è fine, ma del nascere; del giorno
che non vuol fare a se stesso ritorno,
e conta il tempo andato sulle dita.
La fine della storia che digrada
nelle parole morte s’assottiglia
già come il rotolare di una biglia
lungo la fine antica della strada.
Lo vedi? Questa strada fa di tutto
metafora e confine, e poi di noi;
e ci fa burattini e mesti eroi
ciascuno a raccontare un altro lutto,
ad imbastire modelli e trattati,
a dirci cose buone e cose strane,
cattive forse anche, però umane,
a illuderci di quel che siamo stati.
Che tutto debba a suo modo finire
si spera o lo si teme o lo si sa;
e mentre la parola se ne va
ho freddo, credo, anche: non so dire.
Una prosa è una prosa è una prosa: Manuale di conversazione
Finisce anche l’avventura di Irene Cardin attraverso se stessa e le proprie vicissitudini espressive.
Mordo un pezzetto di biscotto, lo premo con la lingua contro il palato fino a che la saliva non lo ammolla del tutto, lo deglutisco. Mangiare biscotti senza masticarli è una operazione lenta e rilassante, adatta allo spirito della giornata. È uno di quei giorni in cui la frenesia logorroica solitaria mi abbandona e viaggio a ritmo ridotto, un giorno fatto di misteriose chiazze di quiete in una insondabile tempesta, quando ogni cosa mi sembra distaccata e lontana e la stessa storia della mia vita recente, da quando ho cominciato a vedere la dottoressa Leoni, anzi la stessa esistenza della dottoressa, appare come una mastodontica ed epocale costruzione della mia fantasia. E forse lo è. Forse non è che un modo per sentirmi parte di una storia, di inventare di continuo una trama, dei personaggi, un senso compiuto, una teleologia. La dottoressa Leoni potrebbe non essere altro che la risposta della mia immaginazione alla mancanza di domande adeguate e di risposte. Il non essere sempre stata capace di distinguere a colpo sicuro il vero dai sogni è, del resto, una mia antica caratteristica. Non sento il bisogno di liberarmene, così come non sento il bisogno di disfarmi del senso di inadeguatezza che mi accompagna: è lì, presente come un sottofondo, e tutto quello che devo fare è imparare a gestirlo. […]
L’attività più impegnativa in questo momento è riuscire a mangiare i biscotti senza riempire il letto di briciole. Penso a quanto impegno ci ho messo, a trovare delle istruzioni per l’uso per tutto, dettagliate e analitiche, anche per mangiare dei biscotti senza sporcare in giro, e mi viene da ridere. È una risata isterica, illuminante, che piano piano diventa felice e poi si dimentica dei motivi per cui è nata. Rido convulsamente, tanto che il bolo di pasta frolla e gocce ormai fuse di cioccolato mi s’incastra in gola e sono costretta a tossire a più riprese per non soffocare. Ho le lacrime agli occhi, ma sono anche piuttosto divertita. Mi guardo intorno con le mani intrecciate attorno alle ginocchia. La stanza è un rettangolo formicolante dei miei oggetti estesi ormai in ogni dove. Il sapore dei biscotti mi accompagna in ogni pensiero. Bevo un sorso d’acqua da una bottiglia mezza vuota che ho lasciato sulla scrivania vicino alla pianta. Dalla finestra la vista si specchia il palazzo di fronte, sordo, con un cielo alto che gli si consuma sopra. Non si vede il sole, c’è un grigiore diffuso che rende la luce perfettamente uniforme, come se non ci fosse più una direzione privilegiata. Altre case, in blocchi, si accatastano attorno alla mia, e completano la rosa dell’orizzonte. Sembrano vecchi germogli di cemento. […]
Quartine al bar
E finiscono le quartine al bar. Io però approfitto dell’estate per andarmi a bere un caffè leccese. Prosit!
Sopra il bicchiere vuoto sta il tramonto
e il tempo di domani non ancora
s’impegna a chiedermi onesta dimora.
Pertanto non ci bado, e pago il conto.
Che dire? Una storia si chiude, altre si apriranno. Grazie a tutte e a tutti per aver letto fin qui, e spero di ritrovarvi ancora nei prossimi mesi. Intanto, parerga e paralipomena venerdì prossimo, e anticipazioni su ciò che arriverà da settembre.
Libri miei
Tutti a disposizione a questo indirizzo.
E adesso ditemi che anche voi tutte le volte che sentite pronunciare “Spoon River” vi mettete a cantare con la voce di Audrey Hepburn
Spoon River, wider than a mile
I’m crossing you in style some day
Seguace appassionato!
Marco
Grazie per il viaggio e mi raccomando l’ebook delle 50 puntate :) [avevo scritto “avrà un acquirente” poi ho pensato “la scambierà per una gufata” e invece volevo dire che non mancherò l’acquisto]