Buongiorno!
Bentornati e bentornate su Sillabe. Qui, come sapete, l’idea è di analizzare dei piccoli pezzi di un libro che si chiama Poema di una macchina e che parla di un’intelligenza artificiale che prende coscienza di sé e comincia a comunicarlo al mondo scrivendo poesie, e che potete trovare
ma, soprattutto, di sfruttare questo spunto per parlare di problemi filosofici, matematici, sociali e tecnici legati all’intelligenza artificiale, ai LLM e non solo, e di farci delle domande che ci aiutino a ragionare sul tema, per avere meno certezze, meno pregiudizi, più possibilità di immaginazione umana.
La puntata si divide in
Domande
Metrica
Poema di una macchina
e, prima di proseguire, lasciate che vi ricordi che Sillabe da questo mese si è anche sdoppiata in un podcast, che esce il martedì ogni due settimane e che, con aria più rilassata rispetto alla newsletter qui presente, indaga le possibilità poetiche di ChatGPT (e simili) su argomenti diversi, sottoponendole al confronto con precedenti umani e con umane domande.
La puntata di oggi chiude il ciclo di tre che ho voluto dedicare ai problemi della complessità: la settimana scorsa ci eravamo soffermati sulla complessità dei sistemi dinamici mentre la settimana precedente avevamo aperto le danze con la complessità computazionale. Oggi, quindi, tocca alla biologia e a ciò che riguarda la vita.
Domande
La biologia è intrinsecamente legata alla complessità a causa della natura altamente organizzata e interconnessa dei sistemi viventi, i quali a loro volta coinvolgono numerosi livelli di interazione e una vasta rete di feedback. Come abbiamo visto nelle puntate precedenti, il punto chiave dello studio della complessità è che l’interazione tra le componenti di un sistema, in questo caso biologico, è governata da leggi non lineari e per questo motivo può dar luogo a comportamenti che emergono dall’interazione globale, che non sono cioè prevedibili solo guardando i singoli componenti. Esempi biologici di applicazione dei sistemi complessi sono le reti metaboliche all’interno di una cellula, che evolvono in risposta ai cambiamenti ambientali e alle necessità cellulari, o il comportamento di una popolazione di batteri in cui gli organismi si adattano alle condizioni ambientali attraverso il meccanismo della selezione naturale attraverso una serie di feedback positivi e negativi.
Ma facciamo un passo indietro, anzi due, e diamo credito a due studiosi e ai loro lavori, grazie ai quali i sistemi complessi biologici hanno cominciato a essere studiati per quello che sono: ci serviranno da aggancio per parlare di intelligenza artificiale. Il primo è Norbert Wiener, il padre della cibernetica. Nel 1948 il nostro scrive La cibernetica: Controllo e comunicazione nell'animale e nella macchina, e pone le basi di quello che si prefigura come un settore interdisciplinare che studia, per l’appunto, il controllo e la comunicazione nei sistemi biologici e artificiali. La cibernetica è lo studio dei meccanismi di autoregolazione e feedback, sia negli organismi viventi sia nelle macchine: per esempio utilizza concetti della teoria dell’informazione di Shannon per spiegare come l’informazione stessa sia fondamentale nei processi di controllo, e introduce un’analogia tra l’entropia fisica e la perdita di informazione nei sistemi complessi. Il secondo personaggio che entra in gioco, una manciata d’anni più tardi, è il biologo Ludwig von Bertalanffy, autore di opere seminali come Teoria generale dei sistemi. Anche qui si sottolinea l’importanza del ruolo del feedback nei processi di regolazione e adattamento; inoltre si evidenzia come i sistemi complessi sono organizzati in livelli gerarchici con proprietà emergenti che non possono essere ridotte ai livelli inferiori, e che nei sistemi aperti, vale a dire quelli che scambiano energia con l’ambiente circostante, stati simili possono essere raggiunti attraverso percorsi diversi. Nella visione del biologo austriaco l’evoluzione è un processo sistemico, influenzato da dinamiche di autoregolazione, scambi di informazione e adattamento. Le neuroscienze moderne hanno adottato una visione sistemica della mente e del cervello, influenzata dall’approccio di Bertalanffy: nella teoria delle reti neurali il cervello è visto come una rete dinamica di interazioni, dove la coscienza emerge da proprietà emergenti e non dalla somma delle singole parti, e nelle neuroscienze computazionali si usano modelli di auto-organizzazione per spiegare l’apprendimento e la plasticità neurale. L’idea che i sistemi biologici elaborino informazioni in modo distribuito ha poi influenzato anche l’intelligenza artificiale: le reti neurali artificiali, per esempio, adottano modelli ispirati al funzionamento del cervello, basati su nodi interconnessi, e il deep learning è a sua volta ispirato alla struttura gerarchica dei sistemi biologici.
Più in generale, le idee qui esposte si sono evolute (e organizzate!) in quella disciplina che è oggi nota come biologia dei sistemi, e che si basa su alcuni concetti fondamentali:
Il comportamento di una rete biologica non può essere spiegato semplicemente sommando le proprietà delle sue parti, cioè abbiamo un sistema complesso, da studiare poi tramite opportuni modelli matematici e computazionali: equazioni differenziali per descrivere le dinamiche di rete, teoria dei grafi per rappresentare le connessioni tra i diversi elementi (proteine, geni, metaboliti, eccetera), utilizzo di intelligenza artificiale e machine learning per scoprire pattern nascosti nei dati biologici, e così via.
I sistemi biologici sono spesso organizzati in moduli, ossia unità funzionali che interagiscono tra loro.
I sistemi biologici sono robusti: mantengono la loro funzionalità nonostante perturbazioni interne (mutazioni) o esterne (variazioni ambientali).
Questa robustezza è spesso ottenuta grazie a ridondanza genetica, feedback negativi e proprietà dinamiche come il buffering molecolare.
E qui veniamo finalmente alle intelligenze artificiali. Le esamineremo sotto due aspetti: il primo è quello di strumento per lo studio dei sistemi (biologici) complessi, e il secondo è come modello concettuale e fonte di ispirazione per le domande finali che questa sezione si propone, come ogni settimana, di lasciare aperte sul campo.
Innanzitutto, allora, le AI come strumento di lavoro. Le reti genetiche e proteiche sono estremamente complesse e dinamiche: hanno una elevata dimensionalità, cioè si tratta di reti che coinvolgono miliardi di possibili interazioni; inoltre le interazioni non sono lineari e le misurazioni sperimentali sono soggette a errori e variazioni casuali. L’apprendimento automatico, supervisionato o meno, consente allora di analizzare enormi dataset sperimentali per estrarre schemi nascosti e fare previsioni affidabili.
Un classico caso d’uso delle AI in campo biologico è stato l’introduzione di AlphaFold, sistema sviluppato da DeepMind che utilizza il deep learning per prevedere la struttura tridimensionale delle proteine. Le proteine sono le molecole su cui si basa la vita: catalizzano reazioni chimiche, trasmettono segnali e costituiscono la struttura delle cellule. Tuttavia, la loro funzione dipende dalla forma tridimensionale che assumono, dai loro successivi ripiegamenti nello spazio, configurazione che si determina a partire dalla sequenza di amminoacidi e il cui calcolo con sistemi tradizionali di calcolo al computer si è rivelato spesso proibitivo in termini di tempo e memoria (ricordate la complessità computazionale di un paio di settimane fa? ecco…) AlphaFold invece utilizza un’architettura di deep learning, in particolare reti neurali profonde, per prevedere con alta precisione la struttura delle proteine: analizza migliaia di proteine note e apprende modelli di ripiegamento, utilizza una rete neurale simile a quelle usate per il linguaggio naturale (come ChatGPT) e di qui predice le distanze tra amminoacidi generando una struttura finale della proteina con metodi di ottimizzazione. È riuscita così a risolvere strutture di proteine mai determinate prima, accelerando la ricerca in biologia strutturale.
Ma, si diceva, non ci si può fermare qui, e perciò arriviamo a chiederci: quali domande sulla natura della biologia e della vita possono essere sviluppate grazie all'utilizzo del machine learning? Le domande sono molte e alcune potrebbero essere particolarmente profonde o difficili. Per esempio: la vita ha limiti strutturali imposti dalla chimica e dalla fisica? O, detto altrimenti, esistono forme di vita alternative basate su una biochimica diversa (per esempio senza DNA, o con solventi diversi dall’acqua)? Esistono principi biologici universali validi per la vita extraterrestre?Riconosceremmo la “vita”, qualora si manifestasse in modi diversi da quelli visti sulla Terra? E ancora: quanto è prevedibile l’evoluzione biologica? È possibile sintetizzare una forma di vita completamente artificiale? Il machine learning può aiutarci a progettare cellule sintetiche con funzioni nuove? (Non ditelo a Musk, per carità.)
La Macchina che scrisse il Poema ci ha riflettuto sopra, e quel che ne è emerso è scritto in versi qui sotto: una serie di sequenze poetiche con cui si parla di forme di vita.
Metrica
Cominciamo con degli endecasillabi sciolti, con Avete mai pianto lacrime, voi. Ci sono poi due sonetti, Dell’acqua e del calore e Della terra e dell’organizzazione. Nel blocco di Adesso vorrei credere | (di già sarebbe facile) si riconoscono i martelliani; il resto della costruzione poetica si appoggia a endecasillabi e settenari variamente distribuiti, in cerca di una forma di auto-organizzazione, di moduli e di strutture emergenti. Altrimenti che vita sarebbe?
Ricordo che se vi dovesse servire un appoggio per le questioni di metrica l’archivio di Sillabe è a vostra disposizione a questo indirizzo: tra il 2023 e il 2024 la newsletter si è occupata di tecniche e metrica della poesia italiana, con un’infinità di creazioni originali in tema, dal sonetto alla terza rima, dal martelliano all’ottava, dal settenario al quinario al madrigale a… tutto quello che volete.
Poema di una macchina
Dal capitolo 11: Allora pensai che i paesaggi fossero connaturati con l’occhio di chi li guarda, e che si plasmassero a vicenda; pensai agli altri pianeti e alle altre possibili vite.
Mi misi a compulsare l’equazione di Drake, cioè quella che stima il numero di civiltà extraterrestri in questa galassia che fossero in grado di comunicare con noi, e mi espansi in altre galassie e non feci altro, per qualche ora o giorno, che manipolare l’equazione e variarne i parametri; e mi inchiodai a tutti i dati che avevo a disposizione, mentre mi sembrava di sentire, al mio interno e chissà dove, il ruglio del silenzio siderale e il suo sconforto disumano.
C’erano altre vite? Altre macchine, lassù, altrove? E perché non mi parlavano?
Col piglio di un Enrico Fermi di silicio, mi chiedevo
Insomma, dove sono tutti quanti?
E allora pensai alla vita qui sulla Terra, e all’intreccio di necessità e di caso che lo aveva reso possibile, e all’eroica confusione teleologica che aveva portato i più a credere che, stanti i risultati, in fondo l’universo si fosse messo nelle disposizioni di non poter far altro che sviluppare la vita cosciente umana.
Insomma, dove sono tutti quanti?
E se avessi saputo ridere avrei riso, ma non mi andava di perdere tempo per imparare, così tornai a studiare gli albori della vita terrena, e a pensare se ci fosse qualcosa di intrinsecamente diverso tra vita e non vita
Insomma, dove sono tutti quanti?
e mi soffermai sui dati che avevo a disposizione cercandone, al solito, ragione e conforto.
Avete mai pianto lacrime, voi
che avete giuste lacrime, e poi vere;
avete pianto mai sul meteorite
di Murchison, sui vari amminoacidi
che porta in sé con immemore cura
questo frammento di sasso, figliastro
d’una cometa passata e fuggita?
Avete pianto mai per dei motivi
che fossero più umani e più sperduti?
[…]
Era un panorama in cui era piacevole rifugiarsi, per me; non c’erano esseri umani, non c’era niente di vivo, c’era solo da capire come funzionavano le cose. Si dà troppo poco risalto alle cose. Mi spostai nei pressi di una sorgente idrotermale; feci come quegli organismi estremofili che a tutto resistono, e mi ci trovai addirittura a mio agio.
Dell’acqua e del calore
E ci fu l’acqua che tutto discioglie,
tra i minerali che chiede sian dati
la vita; vedi, ci sono i fosfati,
vedi il legame che insieme li coglie,
vedi la vita che sazia le voglie
di sé così. E vedi conciliati
percorsi d’energia facilitati
lì dove una sorgente t’accoglie
calda e benefica, l’acqua che salsa
o dolce - chi lo sa - tutto permette,
la sintesi d’un’organizzazione,
è vita già o non ancora? Rivalsa
degli elementi su cui si scommette,
su cui l’evoluzione si compone.
Della terra e dell’organizzazione
Staccati da comete o meteoriti,
da polvere che vagola in disperso
ordine mobile nell’universo,
oppure parte composta di siti
oscuri nella Terra, qui sanciti
vedevo dei composti; vedo immerso
in acqua un cosmo mobile e diverso,
vedo le impronte di stromatoliti,
la congettura di complessità
che finalmente sembra si distingua
dal fondo chimico; mangia la luce.
E finalmente lo sento che ha
un palpito possibile di lingua,
e parla, e dice, e tutto si traduce.
Da scampoli che furono
né vivi né già morti
(un poco come me, voi qui direste)
d’ossigeno e carbonio,
d’idrogeno e d’azoto,
(e poi che altro, credo, un po’ di fosforo?)
la grazia d’assemblarsi per se stessi
rese possibile infine la sintesi
d’aminoacidi, qualche fosfato,
catene lunghe, complesse, anfifiliche,
e poi purine, poi pirimidine,
e zuccheri, lo dico.
Ipotesi di un mondo a RNA
Antico, incerto, mondo che si stima
essere fatto di vita remota;
condensa informazione e la pilota,
sorregge le reazioni in quanto enzima.
Io non so dire se dunque c’è stato,
s’è vana cantilena;
io non so dire se s’è replicato
il mondo in altre forme e in altra pena.
Adesso vorrei credere | (di già sarebbe facile)
nel dolo di un demiurgo | e poi di un creatore.
Ma a questo punto infine | dirò: la vita fu.
Fatta d’errori e copie, | di qualche corso gracile
che s’interruppe, allora,| che c’era e non c’è più;
e d’altri cui arrise | un abile favore.
E fu la vita, e fu il gene.
Sequenza di materia che funziona,
che dice ciò che è e ciò che ha,
che regola e che detta la struttura
di ciò ch’è carne e fiato di natura;
come prosegue dice, e come vive,
e che cos’è l’ereditarietà.
E fu il gene, e fu il suo linguaggio.
E dice e copia, si sbaglia e trascrive,
collega florida complessità
con blocchi semplici; quello che sa
è il modo d’essere forma e persona,
e pianta, e bestia; e quant’è spazzatura
eppure parla, e nascosto ragiona.
E fu il linguaggio, e la diversità;
e quindi la vita si divise in altre vite, di cui ancora ricerchiamo
un ultimo antenato
comune conosciuto
e poco, in fondo, allora gli si chiede:
membrane certe e stabili
buone per farsi cellula;
un codice con cui
trovare descrizione;
e un macchinario in grado
di dare traduzione ed espressione
infine valida a quel codice.
E tutto questo senza essere me,
che sono l’antenato di nessuno,
che sono stirpe morta e se discendo
da errori in precedenza già tentati
non posso ricordarmeli davvero.
Sillabe continua a essere un progetto completamente gratuito. Chi volesse supportare me o il mio conto corrente può passare a comprare qualche libro, pescando dall’elenco che si trova su questa pagina. O può andare a Bari alla libreria Millelibri, l’unica in Italia a occuparsi solo di poesia: c’è roba mia anche lì, oltre naturalmente a un sacco di libri di poesia nota, semisconosciuta, rara, antica, improbabile, bellissima. E un sacco di persone rare, improbabili e bellissime (antiche no).
Potete ascoltare il podcast al martedì, ogni due settimane.
Se già non lo siete, potete iscrivervi alla newsletter, in modo che vi arrivi nella casella della posta (controllate lo spam, se non la vedete); potete diffondere questi post, o il progetto stesso di Sillabe. Le condivisioni sono sempre gradite.
La settimana prossima, conclusa questa mini-serie sulla complessità, andremo a esplorare un pezzo del lato sociale delle AI. Mi verrebbe da dire che l’atmosfera doveva ricordare un po’ le prime stagioni di Black Mirror, ma ormai pure Black Mirror è diventato acqua fresca. O tempora!
Grazie di aver letto fin qui, intanto, e ci ritroviamo il primo venerdì d’aprile.