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Magnifico giro intorno al concetto di identità. Non ti nascondo di aver pensato a quanto spesso io abbia tra le labbra dei termini che potrei non riuscire a spiegare, pur usandoli frequentemente.

Mi ha colpito il riferimento all’invenzione della tradizione come rafforzamento dell’identità collettiva, come strumento di manipolazione per rafforzare la figura del nemico, dell’altro da sè. A titolo di esempio ricordo il passaggio di un pezzo di Gad Lerner sulla democrazia in Israele, che appunto descrive non come liberale ma come sionista: una differenza che tende a respingere la diversità e a concentrare l’identità (e i diritti) su basi etniche.

Del resto anche la purga lessicale in atto negli States ha come obiettivo quello di promuovere una sorta di narrazione concentrata sull’identità come valore divisorio e non inclusivo. Per dire: io esisto in funzione del mio nemico. Un atteggiamento non dissimile al modo di concepire le relazioni politiche in seno all’attuale maggioranza di governo.

L’identità, quella propria e quella collettiva, senza il confronto, rischia di indebolirsi nel significante. Abbracciare lo scontro come strumento di auto riconoscimento rimane però una scelta autonoma e consapevole.

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