Seconda parte del racconto estivo. La prima parte di Uno è stata pubblicata la settimana scorsa e potete trovarla a questo indirizzo.
Nel frattempo, un sonetto estemporaneo. Il mio studio collaterale dell'algebra e della teoria dei numeri, con cui tento invano di sopportare il caldo estivo e di trovare un appiglio alle prossime scritture, procede con diletto e fatica; sugli esercizi sudo parecchio, però so fare i sonetti. Se voleste saperne di più sulla congettura abc, leggete qui o qui.
Sonetto sulla congettura abc
C’è chi pensava che fosse tradotto
nei numeri l’idea di questo mondo,
o che lo fossero il senso e lo sfondo,
la legge, la vertigine; il prodotto
chiede alla somma il punto ininterrotto
di regole comuni nel profondo
ritaglio di un discorso vagabondo
che sciama su di noi, e dentro, e sotto.
Tre numeri soltanto, e sono interi;
il terzo fa la somma. Su di un quarto,
prodotto ch’è dei lor fattori primi,
soggiace uno dei grandi misteri:
se raro sotto il terzo in qualche scarto
ora il suo posto alla fine si stimi.
E ora torniamo alla prosa!
Uno. Seconda parte.
Fino a quando non divenne presidente, si può dire che lui fosse quasi del tutto sconosciuto. Aveva un aspetto anonimo, il che quindi si può dire anche di me; e quella che è poi diventata famosa come una delle più convincenti arti retoriche di questo triste secolo era forse esercitata appieno solo tra i suoi accoliti più attenti. Eppure nessuno si stupì quando fu eletto presidente, a nessuno importò del suo passato inconsistente e banale, di cui non si poteva dire né bene né male; aveva un modo di fare che convinceva chiunque, il talento distratto dell’innato venditore combinato con quello del profeta concreto. Fu chiaro fin dai primi discorsi e dai primi provvedimenti che fece licenziare al suo governo, tant’è che tutti ci chiedemmo - me lo chiesi anche io - come fosse stato possibile che un simile modo di gestire i fatti del pubblico ufficio, così schietto e semplice e funzionale, non fosse apparso più e più volte nella storia umana. L’economia si stabilizzò, la società trovò quiete, almeno all’inizio: e lo vedemmo tutti come un miracolo e al contempo come il corso inevitabile di una giustizia superiore. Il mondo ci guardava e noi guardavamo il mondo. Lo sguardo era pieno di audacia e di sospetto, da entrambe le parti. Lui, come persona, si formava e cresceva rapidissimamente, e la sua personalità si costituiva come una concrezione sull’ossatura del potere.
Accanto a lui fiorivano altre concrezioni centripete: i più fedeli, i ministri, i portavoce, i consiglieri, che erano minuscoli specchi della sua immagine e altrettanto minuscoli ingranaggi di una macchina poderosa che cresceva di giorno in giorno, macchina di cui lui era la forma, lo scopo, la causa e il messaggio.
Siamo un paese religioso, si sa, e la religione ufficiale stette a guardare l’affermarsi di questo contraltare laico cercando di capire se potesse essere più un’opportunità o una minaccia. I massimi sacerdoti si affollarono attorno a lui, melliflui e attenti ma non pregiudizialmente ostili, in quanto il loro potere era un concorrente parziale, poiché su piani temporali lievemente sfalsati rispetto a quello presidenziale.
Fu allora che io, che non avevo mai badato più di tanto al mio aspetto, cominciai a studiare la mia faccia e il mio corpo come se fosse stato un pianeta alieno appena scoperto.
Non ho conosciuto mio padre, che morì quand’ero appena nato; e da mia madre non ho saputo molto, solo vaghi miti e sospiri, il che mi ha riempito di fantasie struggenti e di ardite ipotesi, e anche di un senso di vergogna, non so perché. Il padre di lui, invece, era vivo; e gli somigliava, e somigliava a me, e forse anche a mio padre, per quanto dicono le immagini sgranate dei miei genitori il giorno del matrimonio, e per quelle di mio padre bambino che ho visto dai nonni. Scoprii la nostra somiglianza il giorno in cui vidi la cerimonia del giuramento alla televisione; e ne provai fascinazione e disagio. Ora se ne sarebbero accorti tutti, pensai. Me lo avrebbero fatto notare e chissà, mi avrebbero preso in giro, la cosa sarebbe diventata un tormentone. Avevo poca fantasia, come si è visto poi: ma chi poteva immaginare che il corso degli eventi sarebbe cambiato così in fretta? Nelle prime settimane, posso dire addirittura nei primi mesi, il presidente era sembrato un presidente normale; giovane, certo, e determinato, ma non dotato delle capacità di caricarsi sulle spalle il destino di un popolo. Se mi permettete di usare un paragone astronomico, sembrava un grosso pianeta, ma non una stella.
E invece fui smentito in breve. Forse ero solo ingenuo, chi lo sa: non ero che un maestro elementare di una scuola di provincia.
Cos’era stato il mio aspetto per me, fino ad allora? Che dire: una gradevole conferma del mio posto nel mondo, non avevo particolari bellezze e mancavo di deformità invalidanti. Un uomo alto, con gli occhi chiari, un sorriso paziente, le spalle dritte. Piacevo alle donne, con moderazione, e loro piacevano a me, con minor moderazione; mi ero sposato giovane ed ero fedele a mia moglie. Anche lei notò la somiglianza col presidente e anche lei, all’inizio, non capì a cosa avrebbe portato. Fece una battuta, qualcosa sul fatto che adesso sarebbe venuta a letto con un uomo importante, e ne ridemmo insieme, tutto qui. Eppure, un po’ alla volta, siccome la faccia del presidente era dappertutto, presi a interrogarmi su concetti più grandi di me: la materia, la forma delle cose, il vuoto, le qualità morali riflesse nei dettagli fisici, se mai ve ne fossero, la consapevolezza dell’essere guardati che fa sì che conformiamo i nostri movimenti e il nostro stesso sembiante alle aspettative dell’occhio altrui.
Frattanto, continuavo a insegnare. Finiva l’inverno, cominciava la primavera, e ai bambini importava solo che io fossi il loro maestro.
La voce della somiglianza però cominciava a girare e, data la qualità e la quantità delle occhiate che mi si riversavano addosso nel mio piccolo ambiente doveva farlo in modo frenetico. Era mai possibile che nessuno se ne fosse accorto prima? La domanda, che mi ponevo ormai di continuo, non riusciva ad avere risposta, ma fu ben presto soppiantata da un’altra domanda, più grave: perché l’aspetto del presidente era diventato così preponderante nella vita di tutti noi? E non era solo l’aspetto, era l’intera sua persona: le sue parole, i modi, le decisioni che prendeva. Quell’uomo, lo sapete, emanava una sorta di magnetismo oscuro e irresistibile. Il culto della personalità si faceva strada, e la sua rapidità non era alla portata della comprensione delle persone comuni, per cui non tentai nemmeno di spiegarla e mi limitai a registrarla. E un giorno - era la fine di aprile, come vi avevo anticipato - trovai le autorità alla mia porta. Oh sì: era sabato, e non sarei dovuto andare a scuola. Suonarono al campanello e andò mia moglie, e ci ritrovammo in casa quattro uomini cortesi. Uno di loro, in borghese, fu l’unico a parlare. Non ci fu bisogno di dire molto, in verità. Andai a preparare un piccolo bagaglio. Mia moglie mi avrebbe raggiunto di lì a qualche giorno, mi dissero, e non mentivano. No, non dovevo preoccuparmi di avvisare la scuola. I bambini, pensai. Qualcuno li avrebbe avvertiti al posto mio. Un altro maestro era già pronto. Non conoscevo la sua faccia, e non l’avrei mai visto.
[2. Continua. ©ElenaTosato2024]