Puntata lunga e anomala, questa.
Da quando hanno fatto capolino in pubblico, un anno fa, i large language models come ChatGPT per molti sono diventati l’elefante nella stanza dei dibattiti sull’intelligenza (tout court, non solo artificiale). Anche a cercare di non farla tragica, resta l’ambiguità di fondo: speranza per alcuni e minaccia per altri, arma di fine del mondo o semplice aiuto compositivo, è ormai comunque impossibile evitare di porsi il problema.
In ambito scientifico il terreno sembra davvero fertile. Al netto dei pregiudizi che si porta dietro a causa della composizione dei dati su cui apprende e delle cosiddette “allucinazioni” cui è andato talora incontro, lo strumento promette di avere un notevole impatto in svariati settori. Giusto per nominarne alcuni: la scoperta di nuovi farmaci, l’assistenza diagnostica, la sintesi delle molecole, la comprensione dell’interazione fra le proteine, la simulazione della dinamica molecolare, il design di materiali, la generazione di codice, l’indirizzamento verso opportune tecniche di soluzione di equazioni alle derivate parziali e chissà cos’altro. Se vi interessa, un ampio studio sulle potenzialità di ChatGPT 4 è stato pubblicato di recente dai think tank di Microsoft, e lo potete scaricare da ArXiv a questo indirizzo. In generale, le capacità di analisi e di risolvere problemi matematici sono il punto cruciale di questi sistemi, nonché il punto su cui si concentrano le maggiori preoccupazioni per quanto riguarda la sicurezza, la trasparenza e la possibilità di utilizzo per mero scopo di lucro1.
Al di là di ciò, vista l’abilità di analisi dati e di sintesi corretta dei contenuti è molto probabile che anche il lavoro più grossolano di composizione di articoli per giornali e siti web sarà in un futuro molto vicino completo appannaggio di ChatGPT e dei suoi consimili, così come verrà delegato agli automatismi artificiali un buon numero di raccoglitori di narrazioni più o meno didascaliche su fatti e morali del mondo.
E che succederà nella letteratura? Bisognerà pur capire che sorte le tocca: anch’essa è impresa umana, e anch’essa si compone di linguaggio e di combinazione di parole e concetti. Sillabe, tra questa settimana e la prossima, si mette dunque a chiacchierare con ChatGPT versione 3.5, la penultima disponibile a oggi e l’ultima attualmente gratuita, e cerca di inserire l’intelligenza di OpenAI nella sua Scatola di Montaggio, con un immediato caveat: gli sviluppi nel settore sono talmente rapidi e tumultuosi che quanto sto scrivendo adesso potrebbe essere obsoleto nel giro di un paio di mesi.
A questo punto ci vogliono ancora due premesse.
La prima è una premessa letteraria. Di una macchina in grado di scrivere poesie aveva già parlato Primo Levi nel suo racconto Il versificatore, che a sua volta riprende un’idea di Stanislaw Lem. Apparso per la prima volta ne Il mondo nel 1960, fa parte della raccolta Storie naturali edito da Einaudi nel 1966: anni in cui da poco si è cominciato a far uso dei transistor nei computer e la serie Elea della Olivetti si è appena affacciata sulla scena. Il versificatore è una macchina programmabile: gli si danno le impostazioni sul metro, sullo stile e sull’argomento, lo si lascia ronzare un po’ per dargli tempo di riscaldarsi e quello produce - sì: produce - una poesia secondo le richieste ricevute. Il risultato, nelle parole di Levi, è geniale no, ma commerciabile: e teniamoci stretta questa definizione, perché ci ritorneremo la settimana prossima.
La seconda premessa è più che altro un aneddoto personale. Quand’ero molto piccola mia madre soleva raccontarmi un sacco di fiabe, dopo aver ascoltato le quali mi faceva delle domande per vedere se avevo capito. E io capivo, stavo attenta e rispondevo a tema, dicendo per esempio che le sorelle di Cenerentola erano perfide e malvagie, o meglio, penfide e manvagie perché non sapevo ancora articolare bene tutti i suoni. Mia madre era anche solita registrare l’audio di quelle chiacchierate - se così si possono chiamare - in modo da poterle riascoltare insieme. “Vedi, Elena, il registratore registra e poi ripete quello che abbiamo detto”.
E io capivo, piccola animista qual ero, che dentro al registratore c’era un’altra Elena che spiattellava parola per parola tutto quello che le avevo detto un attimo prima. Solo che, oltre ad essere animista, ero anche pigra, o se vogliamo ero cortese2: fatto sta che mi sentivo a disagio a essere sempre io quella che parlava per prima, e cominciavo a strepitare che volevo che almeno per una volta fosse il registratore a prendere l’iniziativa e a parlare senza che gli dessi io l’imbeccata.
Ecco, ChatGPT è la parziale risposta alle mie proteste di infante. Nella vita bisogna aver pazienza.
Scatola di montaggio: Poesie artificiali / 1
Ho aperto la finestra e ho cominciato a interagire. Ci ho trascorso alcuni giorni, affinando le domande, indagando.
Potrei ma non voglio fidarmi di te,
Io non ti conosco e in fondo non c'è
In quello che dici qualcosa che pensi
Sei solo la copia di mille riassunti3.
Era così? Era solo la copia di mille riassunti? Altre domande: la creatività è questione di mera potenza computazionale? Verrà il tempo in cui saper scrivere sarà equivalente a saper scrivere dei prompt adeguati? E a cosa si applicherà? Se in rami quali la fantascienza, o il fantasy, o in tutte le occasioni in cui la serialità la fa da padrona, la potenza di fuoco di ChatGPT può creare intrecci e gestire dettagli con una rapidità e una accuratezza già al livello di molti autori umani, e ci dispensa pure dal dover leggere Propp e la sua Morfologia della fiaba, cosa può fare nella poesia uno strumento pensato, in fondo, per completare il seguito della storia seguendo percorsi di maggiore probabilità? Ci limiteremo ad assemblare archetipi nel modo più verosimile? O nel modo con cui in passato sono stati assemblati con maggiore frequenza? Diceva Umberto Eco: Quando tutti gli archetipi irrompono senza decenza, si raggiungono profondità omeriche. Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono. Perché si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando tra loro e celebrano una festa di ritrovamento.4
Cosa accadrà? Raggiungeremo mai profondità omeriche? Finiremo a girare su noi stessi tre volte con tutte l’acque, e a la quarta levar la poppa in suso, e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso5?
Ai posteri l’ardua sentenza.6
I Surrealisti avevano inventato un gioco che si chiamava Cadavre Exquis. È un gioco di gruppo, che si può applicare alla scrittura o al disegno, e fa riferimento alla passione surrealista per l’automatismo della creazione artistica e per l’assemblaggio casuale degli elementi strutturali. Il gioco, per quanto riguarda la scrittura, funziona così: il primo giocatore scrive una parola su un foglio di carta, ripiega la carta in modo che non si veda ciò che ha scritto lo passa al suo vicino. Il secondo giocatore, senza leggere la parola scritta da chi lo ha preceduto, ne scrive un’altra, ripiega e passa avanti. L’unica regola da seguire è che bisogna rispettare una sequenza sintattica: per esempio, aggettivo-sostantivo-verbo-sostantivo-aggettivo, o altre simili concordate prima dell’inizio del gioco. Lo scopo è di formare una frase. Come possibile variante, ciascun giocatore può comporre un’intera frase e lasciarne leggere solo l’ultima parola al giocatore successivo, che a sua volta comporrà un’altra frase. Che il risultato sia di senso compiuto o meno, è irrilevante: basta che sia formalmente corretto. Ora che avete un’alternativa alla tombola per trascorrere le prossime festività natalizie insieme ai parenti (oltre che parlare di Forme e discorsi di oggetti e persone con zia Guidalberta), veniamo a ChatGPT.
Ho chiesto se conoscesse il gioco. Ovviamente sì, e me lo ha descritto in maniera corretta. Abbiamo quindi cominciato a giocare. All’inizio ci siamo limitate7 alla prosa. Ha preso lei l’iniziativa: proprio tutt’altra storia da quel pelandrone del registratore con cui mi cimentavo da bambina.
Dopo un breve scambio di battute per rompere il ghiaccio, scambio di cui con tutta evidenza ChatGPT non ha bisogno ma io sì, comincia la storia. E come può cominciare, se non così?
Beh, quasi così. Vediamo come va. (EL sono io)
E qui vediamo subito che ci mettiamo a giocare a qualcosa di diverso da Cadavre Exquis, anche perché sia io che ChatGPT “leggiamo” quello che ha scritto la controparte, e l’effetto surreale si perde in un battito di ciglia (mie). Se ne inferisce che una tra noi due è meno sveglia di quel che si dice e l’altra si fa buggerare anche troppo facilmente, decidete voi chi. Ma tant’è: siccome quello che mi interessava era saggiare la creatività di ChatGPT, e la creatività non necessariamente ha a che fare con la casualità degli input ma può anche riguardare la capacità di ricombinare stimoli noti, ecco che faccia e interfaccia si mettono a scrivere una storia insieme. La sperimentazione continua!
ChatGPT recepisce dunque le informazioni e coerentemente prosegue:
La storia va avanti su questa falsariga per un altro po’, ma non mi interessa adesso entrare nei dettagli. Il chatbot ha introiettato un buon numero di stereotipi narrativi che utilizza in modo opportuno ricombinandoli con una capacità che non mi disturba definire creativa. Certo, l’ambientazione vagamente piratesca e avventurosa su un’isola mi fa temere che prima o poi se ne esca con un Tutto quello che ho è questo pollo di gomma con una carrucola in mezzo, ma alla fine non lo fa.
Quello che faccio io, invece, è spostare le abilità testuali di ChatGPT dalla prosa alla poesia. Possiamo rendere in versi ciò che abbiamo composto insieme finora?
Andiamo avanti per qualche schermata. Io mi sto anche divertendo, devo dire la verità. Le chiedo allora di comporre endecasillabi. E qui va male: forse a causa del fatto che l’italiano non è la lingua in cui è stata originariamente implementata, fa un’enorme fatica a distinguere tra sillabe metriche e sillabe grammaticali, se le conta lo fa a spanne, col risultato che i suoi endecasillabi hanno grossomodo la lunghezza di un endecasillabo vero, ma quando imbroccano accenti e cesure è più uno scherzo combinatorio che altro.
Vediamo un esempio:
Non sono endecasillabi e non sono nemmeno dieci. Potrei decidere di addestrarla ulteriormente e di specificare meglio le mie richieste nelle domande successive, ma preferisco concentrarmi sui contenuti e sulle scelte stilistiche. ChatGPT utilizza similitudini e metafore, cerca a suo modo un registro aulico, “poetico”.
Eccola di nuovo con una poesia su una tazza da tè:
Abbiamo seguitato a giocare così per un intero pomeriggio, e poi per una serata, e poi a un certo punto volevo invitarla a bere dell’assenzio insieme e parlare di paradisi artificiali e intelligenze artificiali e sentirmi dire
Moi, je buvais, crispé comme un extravagant,
Dans son œil, ciel livide où germe l’ouragan,
La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
ma questo era un Baudelaire autentico e quindi, per le considerazioni sobrie e finali sulla mia esperienza poetica con ChatGPT, rimando lettrici e lettori alla settimana prossima, in cui torneranno anche le sezioni Una prosa… (o quasi) e Figure.
A presto!
Libri miei
Tutti a disposizione a questo indirizzo
Questo paragrafo potrebbe essere stato composto da ChatGPT, ma l’ho scritto io. Ci ho solo messo più tempo.
Ok, pigra.
Samuele Bersani, Giudizi universali.
Ne parlava a proposito di Casablanca in Dalla periferia dell’impero. Diceva altresì, e lo riporto perché mi sembra opportuno: proprio perché gli archetipi ci sono tutti, proprio perché Casablanca è la citazione di mille altri film, e ogni attore vi rifà una parte eseguita altre volte, gioca sullo spettatore la risonanza dell'intertestualità.
In un numero di Sillabe come questo, in effetti, ci sarebbe stato bene anche un pezzo di Apocalittici e integrati. Per quanto mi riguarda, alla fine di quest’esperienza credo di essere diventata sia integrata che apocalittica.
Inferno, canto XXVI, vv.140-142.
Mi sto giocando tutto il bonus citazioni del 2023.
Ho scritto limitate perché secondo me ChatGPT è femmina, ma va bene tutto, fate come preferite. Non credo si offenda.