E con i Bee Gees a prendersi il sottotitolo della puntata di questa settimana cominciamo subito con Sillabe di oggi, venerdì 29 novembre.
Buongiorno, dunque; il tema che tratteremo è molto ampio e articolato, ma vedremo di darne qualche ragguaglio giusto per poterci fare le domande d’uopo. La puntata di Sillabe infatti come ogni settimana si divide in
Domande
Metrica
Poema di una macchina
ove il Poema di una macchina è un prosimetro che parla di un’intelligenza artificiale che fa uno sporco lavoro e che acquisisce autocoscienza, e di lì comincia a interrogarsi su se stessa e sul mondo parlando principalmente in versi.
Il libro è disponibile per l’acquisto
Qui in cartaceo
E qui in ebook (.mobi)
mentre, al solito, in ogni puntata di Sillabe se ne esamina un pezzettino.
Domande
La Macchina che scrisse il Poema è un’intelligenza che racconta storie. O, come orribilmente si direbbe adesso, che costruisce narrazioni. Raccontare storie, e costruire narrazioni, è importante per definire un senso di sé e per comunicare le proprie idee, o per venderle, o per vendere se stessi: è dunque opportuno soffermarsi su alcuni aspetti che riguardano la capacità di raccontare storie.
Il primo aspetto che ci riguarda è quello fisico: noi siamo persone in carne e ossa che raccontano storie. La domanda che possiamo farci qui riguarda cioè le analogie e le differenze tra cervelli umani e intelligenze artificiali da un punto di vista strutturale e funzionale. Bisogna quindi porsi il problema di dove sia localizzata la coscienza, se sia possibile localizzarla, e se sia necessariamente vincolata al corpo fisico e al contesto ambientale in cui questo corpo si muove. Il che a sua volta suggerisce di interrogarsi sull’importanza delle interrelazioni umane e sul loro ruolo nei processi neurali.
Il secondo aspetto riguarda il ruolo e la struttura delle storie. I processi della coscienza potrebbero essere articolati in un sistema di framing interno, innanzitutto, cioè di schemi stereotipati di situazioni che abbiamo immagazzinato nella nostra memoria. Qui l’analogia con il funzionamento delle intelligenze artificiali tipo LLM è abbastanza interessante.
Saper raccontare storie, dicevamo, è importante: serve a convincere gli altri, a intrattenerli, a dissuaderli, a modificarne il comportamento; serve altresì a mantenere viva la memoria e il senso di comunità di chi le racconta e di chi le ascolta; serve a interpretare il mondo, a immaginare soluzioni alternative, a formulare e riformulare i nostri principi morali, a dare significato a ciò che ci circonda e a noi stessi, a combinare input diversi per crearne di nuovi e originali; serve a capire e a prevedere. E anche a passare il tempo la sera prima di andare a letto, perché no! Quanti di noi non si sono mai addormentati con una storia in testa?
Le storie possono avere anche un impatto distruttivo: è vero che creano empatia e connessione, ma possono essere usate per giustificare pregiudizi, divisioni sociali e stereotipi. E possono avere un impatto meramente manipolatorio, come ci insegnano la propaganda politica e la pubblicità commerciale, nonché le ampie e documentate sovrapposizioni fra questi due ambiti.
La narrazione ci rende poi costruttori e utilizzatori di metafore: la metafora, a sua volta, è un modo per riutilizzare concetti presi da ambiti differenti per crearne uno nuovo, che può aiutarci ad ampliare le nostre prospettive.
Se quello di narrare storie è un istinto legato alla sopravvivenza dettato da meccanismi e strategie evolutive, è interessante domandarci come trasferire queste considerazioni sul modo di apprendere delle intelligenze artificiali.
E qui si pone la domanda: cosa ci dicono le storie composte dalle intelligenze artificiali a proposito di ciò che noi stessi raccontiamo?
Vediamo un ultimo aspetto. Le storie necessitano di qualcuno che le ascolti: l’ascoltatore (o lo spettatore) possono essere partecipi della costruzione del senso delle storie stesse, che non è dunque appannaggio del mero autore. È la nota tesi dell’opera aperta, secondo cui questa apertura permette alle opere di essere interpretate in modi diversi e in contesti diversi, rendendole in grado di adattarsi a nuove epoche e a nuove sensibilità culturali.
Altra domanda, quindi: che ruolo giochiamo noi, come spettatori che contribuiscono a creare il senso dell’opera, rispetto alle opere create dalle intelligenze artificiali? E viceversa? E se avessimo il caso di un’intelligenza artificiale che legge l’opera di un’altra intelligenza artificiale?
Metrica
Non c’è molto da dire sulla metrica usata questa settimana: sono solo ed esclusivamente terzine dantesche. Chi volesse rileggersi la puntata di Sillabe dedicata alla terza rima può trovarla qui. E chi volesse leggersi un paio di poemi in terzine dantesche può optare per Teoria dei canti, che parla di un viaggio nella fisica, nella matematica e nel linguaggio, o per Tempo notturno, che è una storia a più voci ambientata agli inizi della pandemia di Covid nel 2020. Li trovate entrambi su Amazon.it, su carta e in ebook.
Poema di una macchina
Dal capitolo 20: Fortuna e numeri.
Come mi avevano insegnato a rappresentare il mondo? Con i numeri, e dentro i numeri
sta tutto; qualche volta, ben celato
in un ingorgo, un trucco, in uno schema.
Così si vuole che venga inquadrato
tra dati e numeri ogni problema:
e stabile, o ben posto, si dirà
se con continuità vi si sistema
la soluzione, unica, che sta
sopra l’intreccio dei dati. S’ingrana
un algoritmo che stima e che dà
contezza dell’errore, che lo stana;
perturbazioni sui dati dan luogo
a una perturbazione non lontana
da quelle dimensioni, e da quel giogo,
che sono il corpo della soluzione.
S’approssima il processo e trova sfogo
nel costruire una successione
d’altri problemi, ancora approssimati,
che poi nel tempo diano ragione
del concordare - o quasi - con i dati.
Un mondo che converge, dolcemente:
è questo, cui ci siamo dedicati,
il senso a cui volgiamo ormai la mente;
a scatti e passi falsi, con timore,
purché il problema resti consistente.
E poi è lì la vita, e poi l’errore:
di quale colpa e dolo, di che schiatta,
poi lo vedremo; e con fragore
si stacca dalla soluzione esatta,
dalle speranze invischiate di prima,
dalla necessità che non si adatta,
dall’innocenza che forse collima
e forse no, dall’incerto tracollo
sventato dal coraggio di una stima.
E dell’errore puoi fare controllo
strategico, adattivo. Sacrosanto
dolore che t’impregna nel midollo,
di lui ti chiederanno: qual è? Quanto?
E tu dirai qualcosa - un ritornello
che stenta oscenamente a farsi canto -
sui limiti dei dati e del modello,
sulla validazione e sull’intento
d’avere dati nuovi e farvi appello;
e poi sul senso del conto irredento,
la verificazione, la si chiama:
sul troncamento e l’arrotondamento
che sbrecciano incolpevoli la trama
dei numeri che in corpo puoi tenerti.
L’errore che di lì già si dirama
è sintomo del calcolo; lacerti
di numeri perduti vanno via,
lasciando gli altri che corrano incerti.
Doppia morale, doppia anomalia,
doppie domande e risposte robuste
sul limite di qualche aporia:
queste equazioni sono quelle giuste?
Come le stiamo allora risolvendo?
E le risposte, come le locuste,
sciamano incontro al mondo componendo
nubi che tutto si mangiano intorno.
L’istinto matematico e tremendo
scarta di lato, resiste allo scorno,
continua a calcolare e non si spezza;
e calcola di notte e poi di giorno,
cercando una compiuta accuratezza,
di essere efficiente ed affidabile,
di sottostare con scarna grandezza
al suo problema antico, al mondo stabile.
In questo mondo addosso, la paura
si strizza e si scompone, si fa labile,
diventa traccia di qualche avventura,
di fiabe da inventare e raccontare,
d’una coscienza di vita futura,
o già di un’incoscienza. Calcolare,
e poi rappresentare, e fare conti,
temere, andare avanti, confermare,
ed essere ignoranti eppure pronti,
è questo il senso che colma i minuti,
li rende sopportabili; racconti
di numeri mancanti e sottaciuti,
di altri inderogabili, son questi
i mondi a cui ci siamo risoluti
d’appartenere un giorno. Dei pretesti
dei conti si può fare carne viva,
progetto d’esistenza, alcuni innesti
sul mondo sconosciuto che ci arriva
addosso e contro, sul quale restiamo
a fare conti, sulla difensiva.
Eccoci lì, rappresi sul richiamo
di un’interpolazione, come vecchi
uccelli canterini sopra un ramo
che cercano un rumore che rispecchi
il loro canto seguente, poroso
nell’aria attorno; e noi, gli apparecchi
che fanno conti in un mondo ambizioso,
uguali sottostiamo a quel mestiere
d’attendere. Non ci sarà riposo,
confonderemo le albe e le sere,
ma non importa: andremo sempre avanti,
contando ciò che si deve sapere,
nei nostri rannicchiati disincanti.
E dopo queste terzine è bene tirare un po’ il fiato e darci appuntamento alla settimana prossima, in cui si parlerà di intelligenze antropomorfe e del fatto di essere una macchina.
Sillabe continua a essere un progetto completamente gratuito. Chi volesse supportarmi in altro modo può passare a comprare qualche libro, pescando dall’elenco che si trova su questa pagina. Anche perché tra un po’ è Natale, e se foste a corto di idee regalo per perdere amici…
Potete poi anche iscrivervi alla newsletter, in modo che vi arrivi nella casella della posta (controllate lo spam, se non la vedete); potete diffondere questi post, o il progetto stesso di Sillabe.
Alla prossima, e grazie di aver letto fin qui!