Ultimo appuntamento per il mese di luglio, ma il racconto continua anche in agosto! Oggi c’è la quarta parte, in cui si parla di stelle e di incontri personali.
Le puntate precedenti possono essere lette qui:
prima parte
seconda parte
terza parte
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E ora cominciamo con le cose nuove.
Uno. Quarta parte
La prima occasione di lavoro, la prima volta in cui dovetti mettere in gioco questa inusuale e disarmante somiglianza fisica che avevo con il presidente, fu al contempo facile e misteriosa. Dovevo soltanto farmi vedere sul retro di un’auto dalle parti di una cittadina nel nord del paese, percorrendo strade di montagna, e in questo consisteva la parte facile. Quella misteriosa è data dal fatto che non seppi mai il motivo reale della visita del presidente, o a questo punto dovrei dire del Vero Me, in quei luoghi sperduti; non c’erano convegni, non c’erano - ufficialmente - personalità straniere di rilievo. Chiesi ragguagli all’uomo in borghese e, come mi aspettavo, mi trovai davanti solo un discreto e impenetrabile silenzio. Meno domande facevo, meglio era; e mi rassegnai di buon grado. Del resto, era un atteggiamento che conveniva a tutti: poche domande, lavorare serenamente. Ebbi modo di godermi, comunque, l’inaspettata gita: erano anni che non visitavo quei posti, e anche se non scesi mai dalla macchina potei guardare il panorama nella sua interezza perché l’autista, bontà sua, guidava abbastanza lentamente. E poi venne sera, e notte, una deliziosa notte estiva, fresca in quei luoghi a differenza dell’afa opprimente cui ero abituato in pianura, e che nella capitale soprattutto mi avrebbe costretto a continue lamentele e al ricorrere spasmodico all’aria condizionale: e non potei far altro che immaginare il piacere sulla pelle di quella temperatura, perché dovevo rimanere chiuso in auto senza poter nemmeno abbassare i vetri del finestrino. C’erano però le stelle, e quelle nessuno poté togliermele: una distesa sterminata di stelle, agghiaccianti, disperate, solenni, dite voi come dovevo e potevo descriverle, e mi sentii più solo e meno solo, in egual misura.
Tornammo a casa e per qualche tempo i miei servizi non furono più richiesti. Vivevo, stavo con mia moglie, lavoravo dal chiuso della mia stanza compilando formulari e interrogando intelligenze artificiali, mangiavo, dormivo, badavo che il mio aspetto non cambiasse se non in funzione di quanto cambiava quello del presidente: e, siccome il presidente amava l’esercizio fisico, mi furono recapitati attrezzi sufficienti a rifornire una piccola palestra. Curavo l’alimentazione, mi guardavo allo specchio. Mia moglie mi prendeva in giro bonariamente.
Come sapete se conoscete la storia patria recente, nei primi tempi la situazione economica migliorò sensibilmente, almeno su un piano generale. La verità, ora lo posso dire esplicitamente ma sin da allora lo sapevamo tutti, fu che pochi si presero tutto: c’era tuttavia nei molti la speranza di poter entrare alla corte di quei pochi, e vivere del riflesso della loro furbizia. Questo, invece, si sarebbe visto meglio col passare degli anni: all’inizio non ce n’era che un sentore, la vaga impressione sconsolata, o cinica se preferite, data dalla conoscenza, più che del carattere nazionale, della pura e semplice natura umana. La sottile oligarchia che aveva prosperato nei tempi caotici prima dell’elezione del presidente ebbe modo di riposizionarsi rapidamente e seguitare con i propri traffici, aumentandone la portata e consolidando il proprio potere, che ora era legato a doppio filo con quello del presidente stesso, che ne era garante, stimolo e pure silente minaccia. Anche questi personaggi, come aveva fatto il clero, trovarono nella nuova situazione un equilibrio dinamico fatto di amicizie, sospetto, interesse e veleno: ma ha funzionato per vent’anni, che posso dire di più? I moti della storia forse somigliano a quelli dei fluidi viscosi, o forse sono addirittura più maliziosi e vi sono irregolarità imprevedibili, e sul lungo corso si può dire soltanto che saremo tutti morti. Alla cittadinanza, al popolo, tutto questo interessava poco: l’inflazione sembrava tornata sotto controllo, e quando nell’immediato la furia dell’incertezza economica si placa non si bada a quel che sarà domani, e non si bada al restringimento di questo o quel diritto, o questa o quella libertà, giacché chi viene colpito è sempre una minoranza, e sempre diversa.
Conobbi il presidente di persona sul finire di quella prima estate. Fu lui a desiderarlo: un capriccio della sua volontà, credo, un modo di giocare con gli scherzi della convergenza fenotipica. Fui convocato in via del tutto ufficiosa una sera, da solo; mi parve quasi che l’uomo in borghese stesse sorridendo tra sé. L’incontro, non lo nego, non fu privo di imbarazzo reciproco, almeno all’inizio: era come guardarsi allo specchio e vedere che l’immagine si muoveva per conto suo! L’imbarazzo sfumò ben presto: si trasformò in divertimento da parte sua, e in soggezione da parte mia. Il presidente mi offriva la cena in uno dei suoi appartamenti. Non ricordo cosa mangiai: di sicuro la qualità non mancava. Badai a bere il meno possibile. Il presidente si mostrò affabile. Era un uomo più colto della media, che amava leggere. Ci tenne a saggiare il mio carattere. Ci tenne a celiare con me sulla nostra somiglianza, parlando di Jeckyll e Hyde, del ritratto di Dorian Gray, dell’Anfitrione di Plauto e del Sosia di Dostoevskij, per finire, chiedendomi ridendo se anch’io vedevo nella follia uno sbocco possibile per la nostra curiosa situazione. Cercai di rispondere senza arroganza ma senza sembrare troppo stupido, per una punta d’orgoglio personale; in realtà, capii che ciò che ero al di là della mia faccia non era molto importante per lui, e che quella cena altro non era che una delle sue consuete esibizioni di abilità retorica, con me nel ruolo di pubblico e di pretesto. Però non mi sentii offeso, o usato, questo no: ero anch’io, come tutti, affascinato da lui.
Mi congedò senza stringermi la mano, con un’espressione che mi parve d’intendere cordiale: sul mio volto, almeno, lo sarebbe stata. Mi disse che non ci saremmo più visti, ma che saremmo stati per sempre legati, e mi augurava salute e felicità. Tornai a casa a tarda sera e non riuscii a dormire.
[4. Continua. ©ElenaTosato 2024]
Volete leggere dell’altro? Questa è la proposta della settimana.
Forme e discorsi di oggetti e persone
È un poema che parla dello spazio, della materia e della forma.
Lo fa toccando argomenti di geometria e di topologia, nonché certi temi di fluidodinamica e di cosmogonia, i cui aspetti meno familiari sono comunque affrontati in brevi apposite note in modo da non rendere oscuro il testo. Ma si tratta di aspetti che occupano una frazione minoritaria dell’opera, che è soprattutto la storia di una relazione fra due persone, Clara e Giovanni, vista in diversi momenti della loro esistenza. È la storia di queste due persone nello spazio, tra i volumi e le forme della loro casa, e del modo in cui la loro relazione modifica la percezione dello spazio proprio e di quello comune. Il punto di vista vuol essere molteplice, per cui a reggere le fila del discorso si alterneranno spesso e volentieri gli oggetti quotidiani e gli ambienti della vita di Giovanni e di Clara: lo faranno in quanto parte della materia, dello spazio e della forma, e in quanto controparte degli esseri umani anch’essi spesso reificati dalle contingenze della loro esistenza.