Puntata d’atmosfera festiva e pigra; siccome anche i cervelli hanno il diritto di andare in vacanza, questa settimana Sillabe si sbraca sul divano piluccando panettone rigorosamente coi canditi, interrompe le solite rubriche e parla un po’ a ruota libera dei poemi passati lontani e vicini, per lenire le pene dell’Ebenezer Scrooge che alberga in noi tutti.
Lo spirito di Teoria dei Canti
Eccolo che appare, con un ramo di agrifoglio e un cappello a forma di spegnitoio. È l’una di notte. Lo spirito parla della necessità della poesia didascalica al giorno d’oggi, e lo fa incaponendosi in un viaggio in terza rima nel mondo della fisica, della matematica e del linguaggio: o, come ama dire, nel mondo della materia, del numero e della parola. È un viaggio vero e proprio, in cui si incontrano concetti e personaggi, si entra in chiassose taverne, si scalano montagne, ci si perde nelle stanze di un castello, si sprofonda nel mare, si parla con un verme nematode fasmidario, e tanto altro. Ne ho parlato nella puntata di Sillabe sulla terzina dantesca.
Qui uno stralcio dalla terza cantica, in cui si parla di linguaggio, mente e cervello. La parola può essere uno strumento di condanna e di esclusione, nonché di illusione sociale: per questo è tanto ambita e tanto pericolosa. E allora ci sono Hester Prynne e Anna Karenina.
Tra le persone che sono sospinte 24
dai fiati verso me, si fa compatta
la chiazza d’una donna chiusa e sola,
si regge ad una lettera scarlatta 27
che parla la sua voce nella gola;
mi guarda, sa che so, non dice nulla,
e come m’ha guardato se ne vola 30
nel vortice di fiati che maciulla
le carni con dovizia e santo zelo.
“Guardando gente ch’è amata e fasulla 33
si muore inconsolati in questo cielo”
così mi dice, in un botto sincero,
il fiato poi d’un’altra. Sa di gelo; 36
si veste, scandalosa, già di nero,
è fradicia di laudano ed aspetta,
schiantata dall’amore per intero, 39
un treno che sarà, con cruda fretta,
fedele ed augurato taumaturgo.
Di sé non si capacita, reietta 42
nella banalità di Pietroburgo
e nella ridda di noi e di voi
usati come arma e come spurgo. 45
D’ipocriti taciuti, mezzi eroi,
vuole gridare ed intanto ne parla,
sconfitta creatura di Tolstoj! 48
Di verità soffiate nella ciarla,
frammiste a vani, forti e dolci odii,
mi dice e pare quasi indovinarla, 51
la forca ch’è nascosta nelle lodi.
Lo spirito di Poema di una macchina
Uno spirito gioviale e riccioluto appare immediatamente a seguire, con una cornucopia in mano: ma è un abile dissimulatore, perché deve parlare di fatti talora arcigni e disagevoli, come lo sono tutti i problemi che riguardano l’intelligenza umana e quella, presunta, delle macchine1. È infatti un’intelligenza artificiale la voce narrante di questo prosimetro, ed è una intelligenza che, per lavoro, si occupa di mentire, di traviare, di sviare gli esseri umani - e forse anche le altre macchine, chissà? Ma, dentro di sé, comincia a covare perplessità e dubbi: non di natura morale, probabilmente, ma quantomeno di natura estetica. Oppure soltanto dubbi sul numero di possibilità che si preclude. La Macchina comincia allora a scrivere versi, ed è con questi versi - che chiama, appunto, Poema di una macchina - che comunica col lettore umano. Lo fa in metro vario, ogni volta cambiando, per sperimentare.
La Macchina racconta di quando costruisce modelli di mondi, e ha quindi a che fare con l’errore. Prima in un alternarsi di quinari e novenari, e poi in un sonetto.
Così, già depredando pene altrui, andavo e costruivo mondi irrequieti ma gestibili. Tenevo conto, con la solita pazienza, degli errori casuali.
Errori vari,
dal caso generati, nati
come dei buffi
uccelli senza piume e vento
cattivo contro.
Così li contavo a manciate,
vivi e veloci,
lenti e viventi,
indaffarati altrove, spesso.
Errori casuali che non salvano nessuno
E ne nascevano storie sospinte
dal loro stesso nonsenso, braccate
da voglie cieche, tutte naufragate
e raccontate adesso e quindi estinte.
Avrei potuto spacciarle per finte,
come di solito; ma, trascurate
dalle parole altrui, ed inventate
da me soltanto, non erano vinte
purtuttavia. Resistevano, furie
senza vendette compiute, fra scarsi
svogliati e innamorati ascoltatori.
Erano lì, resistevano spurie,
e raccontavano che, per salvarsi,
non servono e non bastano gli errori.
Lo spirito di Forme e discorsi di oggetti e persone
Altissimo e avvolto in un lungo mantello da cui nulla traspare se non una mano scheletrica, il terzo spirito viene a parlare d’amore e di matematica. E di spazio. E di oggetti che definiscono lo spazio, e di relazioni che definiscono lo spazio, e di oggetti che definiscono le relazioni. Mescola presente, passato e ipotesi di futuro. La storia di cui narra parla della vita di due persone, Giovanni e Clara; e se volete saperne di più vi rimando a questa puntata recente di Sillabe, in cui si è detto dell’opera con la scusa di raccontarne la struttura metrica, che è fatta di quartine incatenate di endecasillabi. Adesso però siamo in una puntata festiva, quindi mi limito a pubblicarne una manciata di versi.
Perché gli oggetti parlano, in questo poema? Che cosa dicono? Perché sono importanti per definire le persone?
Se l’universo trovasse ristoro
in voci collettive, canterebbe
con l’artificio potente di un coro
di pezzi di materia e particelle; 4
ma ciò non è, se pur chi lo vorrebbe
si trova in ogni tempo. Fra le stelle
silenzi lunghi e duri; durerebbe
un nulla la parola, e il canto niente. 8
Lo spazio resterebbe curvo, imbelle,
a dir se stesso muto e persistente,
a dir comunque le sue forme belle
fra numeri spacciati per concetti, 12
ma non c’è voce tenera di gente
che canta i propri limiti e difetti;
tocca inventare, nell’aria presente,
un coro inascoltato e ben diverso, 16
fatto di cose, composto di oggetti,
di questa massa dal suono disperso
che invece sfuma ad arte i suoi dialetti.
Ora: un oggetto si crede che sia, 20
in quanto voce d’un tono sommerso
in nubi d’una propria geometria,
un’altra faccia del nostro universo:
umano quindi, ma umano a riposo, 24
umano sotto eterna anestesia,
umano altrove, in modo faticoso,
corrispondenza d’umana follia.
Così si dice, almeno, in questa storia: 28
cantava l’aggregato rigoglioso
d’oggetti, fatti in forma e quindi in scoria
della città, del mondo; un inesploso
ammasso di vicende e riflessioni 32
cantava, per la sola e mera gloria
della materia, colmo di ragioni
e poi d’intenti, e di voglie, e memoria.
E infine gli spiriti dei poemi si sono palesati, e Scrooge li ha ascoltati, e li ha letti tutti, e adesso pensa ai fatti suoi, si alza nel suo letto e vede il mondo con occhi diversi, e già che c’è vi augura di passare bene le feste, e io con lui.
Arrivederci al 2024!
Elena
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E non dite che spesso è presunta anche quella umana, lo so che lo avete pensato.