Diceva Wisława Szymborska: Non ho difficoltà a immaginare un’antologia dei più bei frammenti della poesia mondiale in cui trovasse posto anche il teorema di Pitagora. Perché no? Lì c’è quella folgorazione che è connaturata alla grande poesia, e una forma sapientemente ridotta ai termini più indispensabili, e una grazia che non a tutti i poeti è stata concessa.
E io non potrei essere più d’accordo. Mi occupo estensivamente e sistematicamente di poesia scientifica e matematica da almeno quindici anni, pur avendo in realtà cominciato molto prima, sia pure in maniera sporadica, dal 1999, quando ero giovane, e incosciente, e con una vita relazionale molto approssimativa.
Buongiorno, buon venerdì, rieccoci su Sillabe. Questa settimana ci prendiamo una piccola pausa dal Poema di una macchina, ma è una pausa funzionale a due obiettivi. Il primo è fare un minimo di pubblicità al Canzoniere matematico, che è uscito poco prima di Natale e di cui non ho avuto molto tempo per parlare. Il secondo obiettivo è usare questa puntata come una sorta di rampa di lancio per le tre che seguiranno, e che si occuperanno di vari problemi inerenti la teoria della complessità, in relazione a quanto se ne può parlare nel Poema di una macchina. Ne avrete un’anticipazione nella prima “vera” puntata del podcast, martedì 11! A proposito, avete ascoltato la puntata introduttiva, questo martedì?
Ma come prima cosa torniamo ai rapporti strani e bellissimi fra la matematica e la poesia, dando così un motivo di esistenza a quel che faccio per buona parte della mia vita e un’argomentazione in meno alla prossima persona che mi guarderà sollevando il sopracciglio con aria di sufficienza.
La mutua dipendenza tra matematica, armonia e poesia ha una storia affascinante che parte da Pitagora e arriva fino alla contemporaneità. In questa luce, il numero è stato interpretato non solo come strumento di calcolo, ma anche come fondamento dell’estetica e dell’arte: sappiamo per esempio che autori come Borges e Calvino esplorano strutture ricorsive e matematiche nei loro testi, e conosciamo le sperimentazioni dell’OuLiPo. Se pensiamo a Prigogine, la sua teoria del caos deterministico si può applicare anche alla letteratura e alla poesia: il linguaggio, come la natura, è un sistema dinamico in cui schemi imprevedibili emergono spontaneamente, ed è quindi possibile esplorarlo come se si trattasse di un sistema complesso e auto-organizzante.
Possiamo citare anche i programmi poetici di Paul Valéry, che conosceva i lavori matematici di Poincaré e Borel, e ne aveva mutuato alcune convinzioni: dal primo l’idea della creatività matematica come un processo intuitivo e strutturato, simile all’ispirazione poetica, e dal secondo l’ispirazione per una visione della poesia come un gioco combinatorio.
Valéry vedeva la poesia come una struttura rigorosa, governata da principi formali simili a quelli della matematica; credeva che il ritmo, la metrica e la sintassi dovessero seguire una logica precisa, come in un’equazione, e considerava la poesia come un sistema autosufficiente, in cui ogni parola è posizionata con esattezza per mantenere l’equilibrio dell’insieme.
Ma la storia non si esaurisce in questi ambiti, che potremmo definire tecnici e combinatori, vicini al gioco di parole. Nulla vieta che la matematica, oltre a riguardare la struttura del componimento, possa far parte anche dei temi trattati da un’opera poetica: parlando più in generale della scienza, la poesia didascalica di argomento scientifico ha una storia tanto lunga quanto nobile. Ne ho scritto qui l’anno scorso, l’articolo si chiama Numeri, atomi, rime.
A questo punto, un aneddoto triste: qualche tempo fa gironzolavo su Substack alla ricerca di pagine che potessero interessarmi, e ne ho trovata una che si occupava di Astropoesia. Al che, tutta fiduciosa e felice, con l’ingenuità dei puri di cuore, sono andata a vedere, aspettandomi sonetti sulle giganti rosse o sestine sulla nube di Oort. E invece “astro” stava per astrologia e io non ho detto niente per dei lunghissimi secondi strazianti, ho normalizzato penosamente il respiro e mi sono allontanata dal computer con una silenziosa lacrima di autocommiserazione aggrappata alle ciglia.
Torniamo però a Pitagora, e all’intuizione di Wisława Szymborska con cui abbiamo aperto la puntata. Di seguito trascrivo in toto due capitoli del Canzoniere matematico: il primo, introduttivo, che parte da una famosa affermazione di Galileo sul fatto che il grande libro della natura è scritto in linguaggio matematico; e il quinto, cioè quello relativo al teorema di Pitagora, con il suo sonetto in tema e una spiegazione, breve e sufficientemente accessibile, del contenuto matematico del teorema che tutti conosciamo fin dalla scuola elementare. Nel Canzoniere non c’è solo Pitagora: si va dai concetti di numero e di limite alle applicazioni matematiche dei sistemi dinamici, dai logaritmi alla legge di Hubble-Lemaître (non me ne vogliano gli Astropoeti di prima…), dal teorema di Poincaré-Perelman a quello di Nash, e molto, molto altro: i sonetti in tutto sono sessantaquattro.
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Canzoniere matematico
Capitolo 1: Il libro della natura
Se l’universo fosse un libro e fosse
dischiuso sotto l’occhio inerme umano,
avrebbe quasi forma di uno strano
divino ingorgo di voci rimosse,
sottili verità eterodosse.
Potremmo averne leggi, da lontano
recuperando il senso dell’arcano
che in matematica scrive le glosse
a ciò ch’è detto il Tutto, almeno quello
che conosciamo e possiamo capire,
intendere, volere e immaginare;
e lasceremmo i segni del cervello,
come lo sono i numeri, a lambire
quanto se ne può dire e misurare.
Il libro della natura
“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto dinanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.”
[Galileo Galilei, Il Saggiatore]
Quando Galileo scrive queste parole certifica la forma e il senso di un discorso che, nato forse già insieme all’ingegno umano e alle sue prime esigenze di comprendere e la natura, stiamo portando avanti ancora oggi. Siamo esseri viventi immersi in un contesto naturale cui apparteniamo e di cui cerchiamo di capire il funzionamento, di prevedere le mosse. Per farlo abbiamo bisogno di tradurre le nostre esperienze in un linguaggio replicabile e comprensibile ai nostri simili, affinché quello che impariamo possa essere trasmesso come forma di cultura, accumulato nel corso delle generazioni, scambiato con altre persone appartenenti a società lontane che vivono in altre parti del pianeta. L’abbiamo fatto intrecciandolo con la mitologia, e poi a poco a poco emancipandone i contenuti e i mezzi; l’abbiamo fatto per misurare la terra, per calcolare le eclissi, per navigare i mari; l’abbiamo fatto utilizzando il linguaggio comune; l’abbiamo fatto anche scrivendo poesie, raccogliendo in versi scanditi da severe regole metriche quel che sapevamo sulle proprietà dello spazio e dei numeri, come il matematico indiano Brahmagupta, o sulla natura stessa e i suoi fenomeni, come il poeta latino Lucrezio nel rendere conto della filosofia di Epicuro. L’abbiamo fatto, infine, rendendoci conto dei limiti del linguaggio naturale e costruendone uno che non ne ricalcasse le vaghezze, riuscendo al contempo a parlare dei fenomeni fisici, delle astrazioni algebriche e geometriche, dei concetti puri e del proprio stesso funzionamento.
Il Saggiatore era nato come trattato per discutere sull’origine delle comete, ma il suo contributo culturale e politico era stato fin dall’inizio cruciale: era, tra le altre cose, il modo con cui l’Accademia dei Lincei chiedeva al neoeletto Papa Urbano VIII di ottenere una legittimazione dopo le fosche e complicate vicissitudini legate al sostegno delle teorie copernicane. Qui, però, ci interessa Il Saggiatore come stimolo filosofico, come occasione di riflessione epistemologica che parla non solo ai dotti del Seicento ma a tutti noi, mediamente acculturati abitanti del secolo ventunesimo: abbiamo infatti tra le mani un manifesto intellettuale che ci suggerisce modi nuovi di conoscere la natura. Per Galileo le uniche proprietà reali dei corpi sono quelle matematiche, come l’estensione, la forma, il moto, e tutto il resto pertiene unicamente alle nostre sensazioni di soggetti che percepiscono i corpi. E, anche se la maggior parte di noi Il Saggiatore non l’ha letto, ne abbiamo ereditato l’impostazione ogni volta che riconosciamo alla matematica il ruolo che essa ha come strumento di conoscenza, come mezzo per analizzare le proprietà oggettive dei corpi e le relazioni che tra i corpi intercorrono. Tutto questo è matematica.
Da allora il discorso sul contenuto e sui metodi della matematica si è ovviamente evoluto e differenziato, ma non riusciamo tuttora a non vedere l’universo come un grandissimo libro scritto in linguaggio matematico, e studiamo la matematica per leggere questo libro. Il linguaggio matematico - come farebbe qualsiasi altro linguaggio, del resto - ci ha preso la mano, e ha cominciato a parlare di sé, a svelarci (o a creare, a seconda delle differenti visioni riguardo la natura degli enti matematici) i propri oggetti, le proprie regole e anche, con qualche sorpresa, i propri limiti. Le dispute che lo riguardano non solo non sono terminate, ma continuano a generare conoscenza, a porre nuovi problemi, e quindi nuove opportunità per vedere le cose, la natura, il modo in cui la pensiamo.
Bibliografia:
G. Galilei, Il Saggiatore. Edizione commentata, a cura di Michele Camerota e Franco Giudice, Hoepli 2023
Lucrezio, La natura. Testo latino a fronte, a cura di Francesco Giancotti, Garzanti 2008
G.G. Emch, R. Sridharan, M.D. Srinivas (ed.), Contributions to the History of Indian Mathematics, Hindustan Book Agency Gurgaon 2005
Capitolo 5: Il teorema di Pitagora
La terra si compone di misure:
che poi vuol dire saggiare rapporti,
cammini lunghi accanto ad altri corti,
per raccontarsi reciproche cure.
Procede in astrazioni e congetture,
dimostrazioni di ultime sorti,
ragioni date a illuminare i torti,
e relazioni tra luoghi e strutture,
quadrati costruiti sui cateti
sommati tra di loro a dirsi uguali
a quel che c’è sopra l’ipotenusa,
e l’arte costruita sui segreti
che nello spazio si fanno sodali
della natura altrove disillusa.
Il teorema di Pitagora
È il teorema di cui tutti abbiamo cognizione e ricordo: in un triangolo rettangolo di lati a, b, c, indicando con c l’ipotenusa, si ha che la somma dei quadrati costruiti sui cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa:
Il teorema era noto ben prima di Pitagora, in realtà, e una qualche sua formulazione è presente e utilizzata a scopi pratici in molte civiltà, almeno per alcuni valori di a , b, c e senza una dimostrazione formale basata su un sistema assiomatico-deduttivo come sarebbe stato quello di derivazione greca.
Una prima formulazione del teorema è infatti contenuta in una tavoletta babilonese databile fra il 1800 e il 1600 a.C., che riporta il disegno di un quadrato con le sue due diagonali e il valore del lato, della diagonale e della radice di 2, con buona approssimazione. Il fatto di aver calcolato la diagonale moltiplicando il lato per radice di 2 suggerisce la conoscenza del contenuto del teorema, almeno per quanto riguarda triangoli rettangoli in cui i cateti sono uguali.
Il risultato sembra essere stato conosciuto anche dai Cinesi, anche se l’attribuzione è più incerta; era un fatto noto almeno per quanto riguarda la terna 3,4,5, come si trova esposto in un disegno databile circa al 1200 a.C.
La dimostrazione formale che conosciamo è dovuta a Euclide nel Primo Libro degli Elementi; ce ne sono state poi molte di successive e in diverse culture: si va per esempio
da quella del matematico indiano Āryabhaṭa (V-VI sec.) a quella del ventesimo presidente degli Stati Uniti James Abram Garfield nel 1859.
I numeri a , b, c possono essere dei numeri reali qualsiasi; se si tratta di interi positivi, la terna a, b, c viene chiamata terna pitagorica e l’equazione è un particolare caso di quelle che si chiamano equazioni diofantee1. Si dimostra che in una terna pitagorica scritta in quest’ordine c è sempre dispari, e che a è dispari e b è pari o viceversa. Supposto che sia b quello pari, dati due interi positivi m,n primi fra di loro, e tali per cui uno dei due è pari, è possibile ricavare una formula che esprime tutte le terne pitagoriche:
Un fatto interessante sul teorema di Pitagora, e a cui in genere non si presta molta attenzione, è che il teorema è stato dimostrato (da Euclide) a partire dal quinto postulato, quello cioè che asserisce che per un punto esterno a una retta passa una e una sola parallela alla retta data; in effetti, una dimostrazione del teorema di Pitagora che non si basi sul quinto postulato euclideo non è possibile. Ciò implica che, nelle geometrie in cui il quinto postulato non vale, non vale nemmeno il teorema di Pitagora: detto altrimenti, se per un triangolo rettangolo in un dato spazio non vale la relazione
possiamo dedurre di non trovarci in uno spazio piatto.
Bibliografia:
A. A. Gioia, The theory of numbers - an introduction, Dover 2001
J.K. Strayer, Elementary Number Theory, Waveland Press 2002
C.B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori 2017
M. Kline, Storia del pensiero matematico, dall’antichità al Settecento, vol. I, Einaudi 1999
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La settimana prossima, come detto all’inizio, si torna al Poema di una macchina e si apre una serie di tre puntate sulla complessità. Cominceremo da quella computazionale.
Grazie di aver letto fin qui e a presto!
Risolvere equazioni restando all’interno dei numeri interi, o addirittura dei numeri naturali, è spesso un compito molto difficile e in certi casi costituisce il tema di congetture non ancora risolte. Nel sonetto successivo, qui non incluso, si vedrà un esempio di come non esista una teoria generale che ci permetta di affrontare le equazioni diofantee esponenziali.
Bellissimo lavoro, Elena.
Pensi che i tuoi sonetti possano essere adatti anche a interessare ai concetti matematici studenti che si sentono più attratti dalla letteratura e dalle scienze umane e fargli scoprire la matematica sotto un altro punto di vista? Vedo che non sono scritti con un intento didattico, ma forse se ne potrebbe lo stesso fare un impiego di questo tipo.
Ricordo che nel '96 le mie amiche che facevano la maturità scientifica ebbero una traccia su "Matematica e poesia" per il tema d'italiano. Chissà se si possono recuperare elaborati di trent'anni fa e vedere come è cambiata l'idea su questa incantevole relazione.