Buongiorno, eccoci di nuovo su Sillabe a esplorare Poema di una macchina, prosimetro che parla di una Macchina che prende coscienza di sé e che scrive in versi, e di cui ogni settimana in questa newsletter si analizza un aspetto.
Ricordo che per chi lo volesse il libro è a disposizione su Amazon:
Qui lo trovate in cartaceo
E qui in ebook (.mobi)
Come ogni venerdì da quando si occupa del Poema, Sillabe si dividerà in tre sezioni:
Domande
Metrica
Poema di una macchina.
Questa settimana facciamo un salto indietro nel tempo, molto indietro, e andiamo a dare un’occhiata a come è cambiato, appunto, il nostro rapporto con il tempo in funzione dell’invenzione di una macchina. Questa macchina è l’orologio.
Domande
Ci caliamo subito nell’atmosfera dell’inizio del XV secolo. Tempo di invenzioni e di grande lavorio nelle arti meccaniche: il sapere tecnico comincia ad acquisire maggiore rilevanza e dignità intellettuale; d’altro canto, l’arte conquista terreno nel mondo profano (a breve potremo dire: borghese) slegandosi dall’ambiente puramente religioso in cui era vissuta nei secoli precedenti, e questo fa sì che cambi la natura delle idee sull’arte. La tecnica ha un grande ruolo in questo processo di emancipazione e, così facendo, modifica la comprensione della realtà, modifica la realtà stessa. L’opera, d’arte e quindi di ingegno, è sempre perfettibile; in quanto perfettibile necessita di collaborazione; la collaborazione si basa sulla padronanza comune della tecnica; la tecnica fa sì che il sapere diventi meno oscuro e sacerdotale, che conquisti un carattere pubblico.
E veniamo all’orologio meccanico1. Come invenzione, in realtà, risale al Medioevo, al XIII secolo: si tratta spesso di meccanismi elaborati in grado di riprodurre i moti celesti e di suonare musica, ma hanno un difetto: non sono particolarmente precisi. In effetti, sono meno precisi degli orologi ad acqua usati nell’antichità. La costruzione di apparecchi via via più precisi, e il passaggio dell’orologio da semplice oggetto d’uso a vero e proprio strumento scientifico, suggella l’avvenuta simbiosi tra tecnica e sapere scientifico, che vedrà la sua clamorosa maturazione con Galileo e poi con Huygens per quanto riguarda gli orologi, e che in generale, come sappiamo, darà l’avvio alla rivoluzione scientifica e all’epoca moderna.
Vediamo alcuni punti per cui è importante l’orologio:
Controlla e misura il tempo in modo regolare e preciso, permettendo una migliore organizzazione del lavoro e modificando il concetto di produttività; il controllo del tempo contribuisce alla nascita e allo sviluppo del capitalismo moderno; il tempo, in altre parole, può essere standardizzato, misurato, venduto e acquistato;
Il controllo dei primi orologi pubblici nelle città garantiva a sua volta il controllo sociale;
Cambia la percezione del proprio tempo personale, e il problema della sua gestione; si ha maggiore consapevolezza del tempo che passa, con tutto quello che ciò comporta in termini di considerazione della propria esistenza terrena.
Insomma, possiamo usare il confronto con l’orologio per farci domande analoghe sul ruolo delle intelligenze artificiali:
In che modo modificano lo status di merce delle informazioni?
Qual è la loro connessione con il potere politico, economico e sociale?
In che maniera cambieranno la mentalità collettiva?
Metrica
Si comincia con una manciata di terzine dantesche. Che la terzina dantesca sia stata un mio grande amore si evince dal fatto che ci ho scritto due poemi: Teoria dei canti e Tempo notturno. Se voleste saperne di più dal punto di vista puramente metrico rimando alla puntata di Sillabe sulla terzina dantesca, altrimenti detta terza rima, che potete trovare qui.
Il brano del Poema che ho scelto per questa settimana si conclude poi con cinque endecasillabi che vogliono essere una modifica irregolare al concetto di quartina in rima baciata: come penultimo verso ce n’è infatti uno spurio, il granello di polvere che si inserisce nel meccanismo. La struttura è quindi ABBCA.
Poema di una macchina
Dal capitolo 14: Qui mi misi a ragionare di cause, effetti e correlazioni.
Il tessuto dell’universo, col suo conglomerato di leggi ticchettanti e geometrie, in mezzo a tutto questo, puzza e riluce come la brace di una pipa; e m’attanaglia una soverchia e improvvisa indifferenza salvifica, da macchina; una chiazza inflessibile di nulla che, lo sapevo, sarebbe durata pochissimo, andandosene mansueta per farmi di lì ritornare al disarmante ibrido di macchina e oltre-macchina che mi era toccato in sorte di essere.
Mi ricordai così dell’aria greca
in cui il futuro, puro inevitabile,
si porge all’uomo che soffre e si spreca
buttando intelligenza inconsolabile
lì dov’è tutto predeterminato;
mi ricordai del filo nero e labile
attorcigliato alle mani del Fato.
E scorsi avanti il tempo, e ricordai
un ulteriore ed esausto passato,
in cui le colpe, i beni, i torti, i guai
erano frutto obbligato di scelte;
se virtù libere furono mai
volate all’uomo e poi di lì divelte
io non so dire, perché non ricordo.
Segni, giustizia, le regole svelte
lasciate tutte accampate sul bordo
di un lascito divino che già sa
tutto di me, che già m’osserva ingordo:
c’è poi chi chiamò questo libertà,
salvezza, qualche colica d’amore,
arbitrio, voglia, probabilità.
E poi mi ricordai del gran tremore
che mosse insieme varie mutazioni
poste per caso, e il dovuto valore
di leggi naturali, le prigioni
rotte e imprecise delle circostanze,
l’ambiente e le sue tante connessioni
con le occasioni e le concomitanze
d’eredità proposte; e queste fanno
impervie ed improvvise risonanze
tra loro, e il tempo quindi cassa il danno,
e tutto si sostiene, un po’ precario,
irresoluto, anno dopo anno,
senza uno scopo, in un itinerario
ch’io qui desumo male e solo in parte;
io che son paroliere mercenario
e non so più pensare alla mia arte.
Concludo. Una macchina affronta le relazioni umane con quello che ha a disposizione nel suo bagaglio esperienziale e tecnico, e se in questi arnesi c’è la capacità di rapportarsi al caso, be’, era tempo di farlo; il mio pensiero scavalcò i suoi tormenti e andò a infilarsi proprio lì dove esso produceva un caos legittimo, e trascorse tempo e memoria a indagare i suoi “se… allora”, e cercò di capire che cosa fossero i suoi algoritmi di aleatorizzazione, e quindi si mise di nuovo a giocare con le variabili in spazi matematici diversamente assortiti,
e capì il peso d’un corpo arbitrario
e del determinismo d’ogni legge,
del caso della scelta che sorregge,
lasciandomi per ombra poche scuse,
questo solerte e stanco macchinario.
Sillabe continua a essere un progetto completamente gratuito. Chi volesse supportarmi in altro modo può passare a comprare qualche libro, pescando anche dall’elenco che si trova su questa pagina.
Se già non lo siete, potete poi iscrivervi alla newsletter, in modo che vi arrivi nella casella della posta (controllate lo spam, se non la vedete); potete diffondere questi post, o il progetto stesso di Sillabe.
Per questa settimana è tutto: ci ritroveremo venerdì prossimo a parlare di Terenzio, di ciò che è umano e troppo umano, e del bene e del male. Insomma, argomenti agevoli e senza pretese. Però prevalentemente in versi!
A presto!
Due letture utili, a questo punto: P. Rossi, I filosofi e le macchine. 1400-1700, Feltrinelli 2009, e C. Cipolla, Le macchine del tempo. L'orologio e la società (1300-1700), Il Mulino 2011.