Imparare a padroneggiare una data struttura metrica vuol dire concedersi la libertà di elaborarne delle variazioni consapevoli: è il caso di cui si occuperà Sillabe questa settimana, in cui verranno proposte delle variazioni del sonetto giocando sul numero di sillabe di ogni verso. Sono possibili variazioni di altro tipo, che consistono per esempio nell’aggiunta di versi alla fine, come nel sonetto caudato, o in certi determinati punti del corpo del sonetto, come accade per esempio nel sonetto rinterzato o in quello doppio. Saranno però oggetto di indagini future.
Il sonetto, lo ricordiamo, è stato già trattato nella dodicesima puntata lo scorso 22 settembre. Qui riassumiamo solo l’essenziale: è un breve componimento di quattordici versi divisi in due quartine solitamente in rima incrociata (ABBA ABBA) e due terzine a rima variabile (l’ultima volta avevamo usato lo schema CDE CDE, che sarà proposto anche ora).
Il metro è, tradizionalmente, l’endecasillabo, per una descrizione del quale si rimanda invece al primo numero di Sillabe.
Scatola di montaggio: prime variazioni sul sonetto
Mi sono spesso domandata: come si può manipolare un sonetto, partendo dal metro utilizzato? Che cosa succede staccandosi dall’endecasillabo e, per esempio, accorciando il verso, componendo cioè quello che si chiama sonetto minore?
Il sonetto in settenari, o sonetto settenario, è raro; Pascoli si cimentò con quello in ottonari. L’idea proposta in questa sede è che il sonetto tradizionale in endecasillabi cominci a perdere di volta in volta qualcosa, arrendendosi ai dettami dell’urgenza e della fretta, fino a farsi poco più che un grido spezzato.
Vediamo dunque come può funzionare questa progressiva afasia formale del sonetto. Cominciamo con un sonetto classico, in endecasillabi, che si occupa di ciò che vuol dire parlare ragionando:
Parlare ragionando, o come viene,
poggiando ancora l’incredulo mostro
di lettere con cui si fa l’inchiostro
sopra le spoglie del male e del bene.
È questo che, percosso nelle vene,
si fa rumore umano, tutto nostro,
e io lo dico altrove e poi lo mostro
secondo il modo in cui più mi conviene.
Parlare ragionando si potrebbe
pur sempre, con del tempo nella pancia,
senza paura d’essere anormali.
Invece venne il silenzio, e mi crebbe
interno; adesso si stacca e si slancia.
Perdo dei pezzi, sì, ma non so quali.
Le perdite sonore nella lunghezza del verso procedono in numero dispari di sillabe, e la tappa successiva è quindi riservata al novenario1. Il novenario, nonostante sia un verso imparisillabo, ha spesso la cadenza regolare e fissa di un verso parisillabo, in genere quella dell’ottonario che gli è immediatamente vicino. Qui si cerca di dargli comunque varietà e imprevedibilità, soprattutto nella prima quartina e nel verso finale, in modo da non dare eccessivi punti di riferimento: il sonetto parla del fatto di perdere qualcosa, e quando si perde qualcosa è facile sentirsi destabilizzati.
Giunge il silenzio in una spora
arcaica, che ricerca varie
e tante e consuetudinarie
possibilità di dimora.
L’orecchio dapprima l’ignora,
fantastica sopra le arie
che gli diventano precarie,
e no, non si rassegna ancora.
Sembra di perdere qualcosa
che non ha né nome né spazio:
un lembo di parola muta,
che non so mai dove si posa,
in questo furibondo strazio
di storia che va sconosciuta.
Tagliamo ancora due sillabe e arriviamo al settenario, che è stato ampiamente eviscerato nel quinto numero di Sillabe. Metro comune e pieno di potenzialità, qui usato senza variazioni particolari, ma con tutta la sua immediatezza e la sua facilità di ascolto. Il sonetto parla della fretta e della paura di non riuscire a dire, per eccesso o per difetto, ciò che l’endecasillabo garantiva:
Dei pezzi così persi
non so che cosa fare:
se stare a navigare
dove sono sommersi,
se scriverli nei versi,
se starli ad ascoltare,
se farli poi chiamare:
inizi di universi,
specie che va protetta,
o voglia di finire
col passo di uno zoppo.
Si sa che con la fretta
si rischia di non dire
oppur di dire troppo.
Il quinario2 è un verso maledettamente breve. Sarebbe forse più adatto a essere usato in combinazione con versi più lunghi (lo vedremo usato come adonio nella strofe saffica della settimana prossima) ma qui arriva in purezza, tagliente come uno slogan. Il sonetto, che ormai non sembra più un sonetto pur mantenendo le rime ABBA ABBA CDE CDE viste nei tre casi precedenti, parla appunto di questa proprietà del quinario:
Per ogni detto
che si ritrova
sorge la nuova
frase ad effetto:
slogan, precetto,
utile prova.
Ciò che mi giova
è già sospetto.
Taccia chi può;
parlino gli altri
con grida corte,
coi sì e coi no
che sono scaltri
cenni di morte.
Piccole urla rapide immerse in un potenziale silenzio, a questo siamo ormai arrivati. Un sonetto scritto usando i ternari è sperimentazione cacofonica, più che esercizio di poesia: ma era comunque interessante provare. Il ritmo ternario ha una sua potenza, deflagra quasi (m’illumino / d’immenso). Si dicono frasi mozze, il sonetto non è più, la perdita di senso si annega dietro spigolose punte sonore che cercano, loro malgrado, di dire tutto.
Lasciare
cadere
le sere
sul mare.
Parlare,
tacere,
sapere,
sperare?
La folla
urlando
non sente.
Barcolla,
gridando
nel niente.
Una prosa è una prosa è una prosa: l’aeroporto
È uno dei due racconti che ho scritto per Natale 2022 e che ho messo liberamente a disposizione col titolo di Bastava il pensiero. Chi volesse può scaricarli gratis via dropbox a questo indirizzo.
L’aeroporto parla del cinquantenne Costantino Valiati, in procinto di prendere un aereo e in procinto anche di morire d’infarto davanti al bar dell’area partenze dell’aeroporto della sua città.
Il cuore: era il cuore, ora ne era sicuro. Che stupido! Come avrebbe potuto pensare a qualcosa di diverso? Era un infarto. “Sto avendo un infarto”, si disse. E poi disse anche: “Merda”. Perché non veniva nessuno? Quanto tempo era passato? Il cuore. Doveva stare calmo. Quando c’è un pericolo ti dicono sempre di mantenere la calma. Come se non morissero anche i calmi, si stizzì. Però stava pensando, quindi era ancora vivo. Bene! Doveva concentrarsi sul fatto di esser vigile, e mantenersi cosciente. Come se non morissero anche le persone coscienti… Calma! Bisogna mantenere la calma. Il cuore, allora. Cosa mi ricorda il cuore… il cuore di Gloucester che si spezza. Sì, ecco. C’è una storia delle malattie cardiache dei personaggi della letteratura? Dovrei parlarne in classe, magari l’anno prossimo… farò delle ricerche… perché vedi, l’Ottocento per esempio è prettamente polmonare… il Novecento è neurologico e psichiatrico… al Ventunesimo secolo chissà che cosa toccherà… sta già toccando, ormai ne è passato un pezzo, avremmo già dovuto capire… ma il cuore, il cuore… il vecchio principe Nicolaj in Guerra e Pace… uno scatto d’ira… Gloucester, un’emozione violenta… ma a me cosa sta capitando, no, io dovevo solo prendere un aereo… niente di strano, niente di… di enfatico, ecco, un aereo come l’ho già preso tante volte…
Costantino Valiati provò a fare un respiro profondo e, in qualche maniera, ci riuscì. Il fatto è, si disse in un lampo folgorante di amarezza, che il cuore da un punto di vista letterario è troppo legato agli usi e ai costumi del sentimento, tanto da venirne fagocitato. C’è un cuore sofferente su una pagina scritta? Ecco che sarà un amore finito male, o un amore mai cominciato, o un amore che si complica… il lato cardiologico è quasi completamente espunto… ah, i guai delle metafore, si disse, con un altro respiro profondo non molto più riuscito del primo; e sì che un sacco di gente è colpita da malattie cardiovascolari, al mondo, e ci muore anche… meriteremmo qualcosa di più… un sacco di gente, un sacco di gente, sì… che se ne va…
Figure
Da Haiku in bianco e nero, 2023.
Ogni mio punto
aveva spazi intorno
in cui non c’ero.
Arrivederci alla prossima settimana. Se avete voglia di leggere altro, nel frattempo, ricordo sempre il mio blog Un’altra versione (da cui si può scaricare un bel po’ di materiale) e i miei libri su Amazon. Se siete iscritti a Kindle Unlimited potete leggere gratuitamente Teoria dei canti, Poema di una macchina, Tempo notturno, Una poderosa rapsodia di incompiuti.
Passate parola :-)
Del novenario non si è ancora parlato in un numero dedicato. Dovrebbe occuparsene la puntata #27, tra un paio di mesi.
Attorno al quinario sarà imbastita la puntata #35, ma questo verso farà una rapida apparizione già la settimana prossima.