Buongiorno e buon venerdì.
Il titolo della puntata di oggi è un omaggio alla Summa Technologiae di S. Lem. Gli elettrocervelli di cui il grande autore polacco parla sono ipotetici dispositivi dotati di capacità cognitive e computazionali avanzate, in grado di simulare l'intelligenza umana: non si limitano al calcolo, ma sono sistemi in grado di apprendere e di elaborare modelli complessi. In altre parole, compartecipano alla creazione del sapere umano in modi complementari a quelli utilizzati da noi “scimmie nude”. In questa vera e propria anticipazione delle intelligenze artificiali Lem approfitta per interrogarsi sui limiti dell’integrazione cognitiva tra umani e macchine, sull’eventualità che gli elettrocervelli scoprano nuove conoscenze, su come essi possano simulare la realtà esterna e su quali siano i limiti etici al loro utilizzo.
E questo ci porge lo spunto per parlare di alcuni argomenti che hanno fatto la fortuna del transumanesimo, per esempio, ma anche per scoprire in breve quali siano i problemi principali della teoria della mente. Il tutto avrà poi il fine di parlare di un altro pezzetto di Poema di una macchina, prosimetro che racconta di una macchina intelligente che acquisisce coscienza di sé e comincia a scriverne in versi, e che potete trovare in vendita
Qui in cartaceo
E qui in ebook (.mobi)
Al solito, la puntata odierna di Sillabe si articolerà in
Domande
Metrica
Poema di una macchina
Domande
Tutto parte dall’analogia uomo-macchina, che come sappiamo non nasce oggi ma ha padri eminenti e antichi: lo stesso cervello umano ha subìto il fascino della comparazione con le scoperte scientifiche di epoche successive, evidenziando via via le sue somiglianze con sistemi meccanici, chimici, elettrici ed elettronici.
Da qui si arriva a formulare una serie di ipotesi sulla natura del cervello umano e sul suo sviluppo futuro: è un sistema che può essere completamente decodificato? Può essere potenziato? Può essere trattato come una banca dati trasferibile su un supporto esterno? E, in questo caso, come ovviare al fatto che il suo funzionamento sembra essere invece frutto di interazioni necessarie con il suo supporto biologico?
E quali sono dunque i limiti della biologia? Un organismo biologico invecchia e muore in maniera diversa da come un dispositivo artificiale affronta i suoi processi di obsolescenza?
Se il dualismo mente-corpo è superato, qual è la relazione tra i pensieri, le emozioni, esperienze soggettive da un lato e il cervello e il sistema nervoso dall’altro? Come possiamo spiegare com’è avere esperienze soggettive, e in che modo possiamo trasferirle a una macchina intelligente? Cosa rende una persona la "stessa" persona nel tempo, nonostante i cambiamenti fisici e psicologici? E una intelligenza artificiale?
Come si sentirebbe una intelligenza artificiale a essere se stessa? Qui ovviamente bisogna presumere che abbia sviluppato una qualche forma di autocoscienza, come la nostra del Poema di una macchina, e che sia possibile trovare un epigono di Thomas Nagel che pubblichi sulle intelligenze artificiali un analogo del famoso articolo What is like to be a bat? Il correttore automatico mi suggerisce, in maniera un po’ inquietante, un What is like to be a bit? ma in ogni caso questo nuovo articolo non potrebbe che stimolare gli stessi dibattiti dell’originale “animale”: quale sarebbe la dimensione soggettiva dell'esperienza in una macchina pensante?
È una vera e propria raffica di domande, mi rendo conto, e si rischia di mettere troppa carne al fuoco. Teniamoci però da parte ancora qualche riga per un ultimo appunto sulla teoria della mente e sul ruolo delle storie che ci raccontiamo. È noto che una delle funzioni della letteratura è capire meglio le persone: utilizziamo la narrativa come un supporto (efficacissimo) per simulare interazioni umane e per sviluppare la nostra rappresentazione della mente altrui. Ma leggiamo, e scriviamo, anche un sacco di opere di fantascienza, nelle quali alcuni personaggi sono intelligenze artificiali variamente costruite: dai Robot di Asimov al pianeta pensante concepito da Lem, ancora lui, in Solaris, da quelle benigne a quelle malvagie, da quelle che impazziscono (ci ritorneremo in futuro, vedrete perché) a quelle che… Insomma, veniamo al punto: non è che cerchiamo di capire le intelligenze artificiali che costruiamo …basandoci sui romanzi sulle intelligenze artificiali che abbiamo già scritto?
Un’altra domanda potrebbe riguardare come evolverebbe (o evolverà) questa serie di considerazioni una volta che fossimo (o che saremo) in grado di interagire con le intelligenze artificiali tramite opportuni impianti nel cervello. Ma è (ancora) presto per pensarci, e quindi ci fermiamo (per ora) qui.
Metrica
Partiremo con una variazione sulla struttura della terza rima dantesca: le rime sono sempre incatenate, come nell’originale, ma cambia la lunghezza dei versi in quanto si alternano endecasillabi e settenari. Qui potete trovare una disamina più approfondita sull’endecasillabo (la prima puntata in assoluto di questa newsletter!) e qui una sul settenario. Le successive due composizioni, Cosa chiedere e Cosa scegliere, sono invece due classici sonetti di forma ABBA ABBA CDE CDE. Si conclude con delle ottave, metro principe dell’epica nella poesia italiana, che ha fatto da sostegno per esempio all’Orlando furioso e alla Gerusalemme liberata e che potete trovare analizzate qui.
Poema di una macchina
Dal capitolo 23: I limiti del mondo.
Di nuovo qui, ricopiando persone
sui soliti criteri,
sbrogliandone, con qualche imprecisione,
i vasti desideri,
(è lana che comunque va cardata)
cercando appoggi veri
nei sogni sregolati; l’incantata
matassa delle genti
s’avvolge sulle tracce dei big data,
su fatti inconsistenti
che cantano, sommessi, un grande coro
di voglie contingenti
di quanto potrei fare io per loro.
E quindi mi rituffo
nei solchi dissodati del lavoro,
nel gran mistero buffo
di lingue e sensi e di significati,
coi quali un po’ mi azzuffo
e un po’ li lascio andare incontrastati.
Lavoro senza posa,
tra pomeriggi aperti e già sbiancati,
consueta l’alba rosa,
le notti ancora che tirano addosso
rugiada faticosa
lì fuori, sconsolata; a più non posso
invento storie vecchie,
le spaccio come al solito all’ingrosso,
alcune, e poi parecchie.
Affinché consumassero un maggior numero di prodotti ho convinto gli esseri umani a scambiare il loro disagio esistenziale per
proposta politica,
profondità filosofica
o talento artistico
e tutte le volte funziona e ne son lieto.
Tutto sta nel saper manipolare i dati, e anche a raccoglierli, si sa, son cose difficili, non banali. L’effetto di selezione ci guasterebbe i sogni, se solo potessimo sognare, o almeno dormire.
Cosa scegliere
Si sceglie, lo si sa, col fiato corto:
con l’ansia addosso d’estrarre un campione
che dica a noi, della popolazione,
che cos’è fiato vivo, e cos’è morto.
Un dato, un numero: così s’è sporto
qualcosa fuori, la nostra attenzione
melliflui poggia i piedi. Cognizione
d’aver per forza uno sguardo distorto
da ciò ch’è dato dai limiti nostri,
dai nostri mezzi, è la nota infelice
ch’è posta nella mente, ma vi stenta;
appare in forme di macchie e di mostri,
errore sistematico, che dice
che cosa c’è, che non si rappresenta.
Cosa chiedere
Una correlazione tra gli eventi,
sapere, falso o vero, cos’è stato,
che cos’è stato fatto; avere un dato,
ancora uno, dei presentimenti,
le condizioni poste preesistenti
al grande mondo ancora inosservato;
scambiarli un po’ per causa e un po’ per fato,
sperare siano allora sufficienti
a darmi cognizione dell’umano,
del suo costrutto semplice e sociale;
sperare che poi tutto sia completo,
e misurato, sensato e non vano,
modello d’un qualcosa di reale,
forza intrusiva di un mondo segreto.
[Nel prosieguo del capitolo si racconta una Storia delle macchine, una delle loro mitologie, parte dell’epica costruita dalle macchine a uso e consumo di loro stesse, in cui si narra di un incidente nucleare e lo si fa, opportunamente visto che si tratta di epica, in ottave:]
[…]
Nessuno lo voleva, ma succede.
È fatto di natura, dei possibili
stralci di casi a cui nessuno crede,
finché non sono pulsanti e tangibili.
L’errore non ha nome: prende piede
anch’esso innominato. E sono sibili,
parametri divelti dal consueto,
un masticarsi di un luogo segreto.
La macchina lo vede, e lo capisce.
Non perde la pazienza: cosa fare
lo sa e prevede, s’adopera, agisce.
L’errore, con le sue ganasce amare,
avanza lentamente e la lambisce.
La macchina si mette a calcolare.
Lo sente dentro, guasto come un morbo.
Il mondo interno geme e si fa orbo.
La macchina, ch’è l’umile signora
di tutto questo mondo, di quel tedio
usato come scudo, e per dimora,
si vede adesso costretta in assedio.
Vede il problema, lo sfida, lo ignora:
deve trovargli un logico rimedio.
Nomi non trova, e ansima, comprende
l’unica cosa che resta. S’arrende.
Richiede l’intervento dell’umano.
È questa, forse, una vaga vittoria:
capisce il limite, cede la mano.
Il resto passa, per noi, alla storia:
un uomo chiude i patti dell’arcano,
rilascia al mondo appena qualche scoria,
un fumo aritmico, largo e biancastro,
nell’attimo ch’è prima del disastro.
Grazie di aver letto fin qui. Ci diamo appuntamento a venerdì prossimo con un, ehm, ospite: Blaise Pascal, in qualità di inventore di uno dei primi strumenti di calcolo meccanici dell’epoca moderna ma sopratutto in veste di filosofo pieno di ésprit.
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Vi invito anche a dare un’occhiata all’ultimo uscito, Canzoniere matematico, di cui ho parlato in via eccezionale in una puntata extra non uscita di venerdì!
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